L’irriverenza di Francesco Vezzoli invade il MAXXI
“Penso che nessuno oggi possa dire di non capire l’arte contemporanea!” E si fa capire bene l’irriverente quarantenne Francesco Vezzoli, star di prima punta nella scena artistica mondiale che in questi mesi vestirà della sontuosa “Galleria Vezzoli” due gallerie del MAXXI, in attesa di approdare a fine anno al MoMAPS1 di New york e al MOCA di Los Angeles.
Tre personali assemblate nel progetto espositivo di respiro transoceanico “THE TRINITY#1”. Se nel cortile del MoMAPS1 l’artista ricostruirà una chiesa italiana 800esca, nella città che ospita il distretto di Hollywood imposterà con impertinenza la sua mostra sull’ossessione per la fama. A Roma intanto Vezzoli convince: nel combinare immagini popolari e cultura “alta” le opere riescono nel proposito di rendere tangibile la percezione della decadenza della nostra epoca esibizionista. {ads1} Nel già labirintico edificio di Hadid la mostra smarrisce ulteriormente. Stupisce un ritratto di LadyGaga di fianco all’Apollo del Belvedere dei Musei Vaticani. Disorienta l’eterogeneità dei più svariati materiali di supporto sfruttati ed esposti : frammenti cinematografici hollywodiani e della “Dolce Vita” nostrana, grandi arazzi e piccoli ricami, busti marmorei e iconografie 400esche, arie Mozartiane e grida di Edith Piaf. Confondono le damine di ascendenza canoviana che anziché tenere in mano ghirlande e coppe come nella migliore delle tradizioni neoclassiche, ci porgono schermi lcd con i più importanti cortometraggi Vezzoliani. E perchè Anita Ekberg indossa il corpo della Venere di Milo?
Pastiches di materiali, stili, epoche e generi: proprio in questa difformità troviamo la nostra chiave di lettura. Nella galleria di Vezzoli il contrasto presente-passato indossa i panni del confronto e si rende protagonista :“A me piace molto questa idea di mettermi in maniera ridicola in rapporto con la storia e vedere l’effetto che fa”. Un raffronto che non sfocia mai in aperta polemica tra antico e pop, tra dive dello star system al tramonto e imperatori corrotti di età romana, tra il candore delle dame canoviane e procaci conduttrici televisive, tra l’amore avvolgente degli amanti incastrati di Klimt e l’amore narcisistico del rituale manipolato televisivo in cui il sentimento sfocia solo in pure manie di protagonismo.
Non seduto tra gli spettatori, ma appoggiato alla parete di una sala cinematografica ricostruita, il ritratto Pasolini piange inerme osservando i tronisti dello pseudo-reality show”Comizi di non amore”. Nella mostra lunga 90 opere il fil rouge è proprio un filo iridescente ricamato in forma di lacrima sui ritratti di pietre miliari del passato: piange Sofia Loren e piange l’amante di Klimt, piangono le opere di Cosmè Tura e le vecchie dive che hanno sacrificato la propria identità al loro ruolo di attrici. Il pianto di Vezzoli sprona allo smarrimento per farcene prendere coscienza e indurci a riflettere su come ritrovarci.A conclusione della mostrra la parola “Fine” proiettata su un enorme schermo suona come una domanda: siamo finalmente giunti ai titoli di coda di quest’epoca misera in cui l’ostentazione ha schiacciato la sostanza della nostra personalità individuale?