L’Imu dei Comuni la pagano le imprese
Il Senato dà il via libera al decreto che restituisce 600 milioni ai Comuni per l’Imu pagata nel 2012-2013 ma i due terzi di questa somma, 400 milioni, vengono sottratti dai fondi destinati al pagamento dei debiti che la pubblica amministrazione ha contratto con le imprese.
Il compromesso per la tenuta del governo, ha sempre messo in chiaro il Pdl, è la restituzione dell’Imu ai cittadini, così come Berlusconi aveva promesso in campagna elettorale. L’ormai classica proposta choc fatta per acchiappar voti diventa arma del ricatto, puntello per tenere in piedi il governo di larghe intese, e il pegno potrebbe essere pagato. La tensione sulla questione è altissima, Stefano Fassina l’ha portata a temperature calde dichiarando in un’intervista che la restituzione dell’Imu pagata nel 2012 «non è in agenda» e che piuttosto «l’obiettivo sul quale il Partito Democratico è impegnato è scongiurare l’aumento dell’Iva a luglio». Secca e immediata la risposta di Brunetta che ci tiene a mettere in atto la promessa cardine della campagna berlusconiana e afferma che Fassina ora è un componente di un governo di coalizione e che il tema dell’Imu andrà discusso.
Se i cittadini hanno capito che anche mettendosi in fila alle Poste non avranno alcun rimborso, i Comuni invece riavranno indietro l’Imu pagata per i propri immobili, nell’ambito di un piano di restituzione di liquidità agli enti locali. È infatti arrivato dal Senato il via libera al decreto-legge 35/2013 sui debiti della pubblica amministrazione, un pacchetto di norme volte a ridare ossigeno alle finanze locali. Al testo il Senato ha apposto quattro emendamenti, con il primo dei quali si promulga la restituzione di 600 milioni di euro ai Comuni nel biennio 2013-2014, somma corrispondente a quanto pagato per l’Imu dai Comuni stessi nel 2012-2013. Splendida notizia per le amministrazioni locali, nelle quali viene reiniettata liquidità, se non fosse che 600 milioni di euro non piovono dal cielo e se c’era stata necessità che venissero pagati un motivo doveva pur esserci.
Per chi si stesse chiedendo da dove arrivano dunque questi soldi, la risposta l’ha data proprio il Senato nell’emendamento: 400 milioni, dunque i due terzi del bottino, vengono dal fondo gestito dalla Cassa Depositi e Prestiti destinato ad anticipare i pagamenti che la pubblica amministrazione deve alle imprese in credito. Si tratta di un ulteriore assottigliamento dei fondi per le anticipazioni, che erano già insufficienti per far fronte a tutti i debiti da rimborsare nel 2013 e che per di più avevano già subito tagli da parte della Camera rispetto ai 10 miliardi inizialmente previsti per il tesoretto. Il testo del decreto dovrà tornare a Montecitorio per essere convertito in legge entro il 7 giugno, dunque non c’è più tempo per modifiche e la terza lettura sarà probabilmente puramente formale. L’azione nei confronti delle imprese è ambigua, da una parte si dà e dall’altra si toglie perché la coperta, come è chiaro, resta corta.
di Francesca De Leonardis