L’azzardo: che non venga chiamato gioco
<<Questo è un Paese dove la fortuna viene realizzata scommettendo>>. Sono le parole di Roberto Saviano proiettate nero su bianco durante il terzo incontro di ‘Mettiamoci in gioco, la Campagna nazionale contro i rischi del gioco d’azzardo’, siglata Libera, l’associazione che dal ’95 mira alla lotta alle mafie e grida giustizia. Promossa da sindacati, istituzioni, associazioni di consumatori, tutti insieme in un unico grande coro, ad informare la società Italiana riguardo al gravoso protagonismo di un gioco pericoloso, malattia di quest’epoca.
Lungo il filo conduttore del paradosso, si apre così nella sede dell’ex decimo Municipio a Roma un’interfaccia di operatori, cittadini, psicologi, tutti a guardare nella stessa direzione: le stime dei giocatori, le patologie che ne conseguono, il ruolo dello Stato e il contraltare delle organizzazioni criminali.
I numeri parlano chiaro: oltre 80 milioni di euro di fatturato annuo partoriti dall’ingranaggio perfetto di slot, lotterie, poker e non ultimo il gioco on-line, assolutamente legali grazie a una progressiva e inspiegabile legislazione in deroga approvata dalla metà degli anni Novanta.
<<Una slot machine a disposizione per ogni 150 abitanti>>, prosegue Saviano nel suo video, avamposto dell’incontro, che come pillola della felicità crea assuefazione, dipendenza, nella continua ricerca di denaro che non basta mai. Quasi un milione i giocatori patologici nel Belpaese legati ad un nodo sempre più stretto: l’usura. Numero questo che non ammette rivali in Europa, il terzo nell’escalation mondiale.
Fabrizio Mastrofini, referente Libera del presidio del VII municipio, insieme ai suoi colleghi mira a sensibilizzare l’opinione pubblica riallacciando all’emergenza la rete culturale ed economica a cui si stringe il gioco d’azzardo.
In Italia viviamo un paradosso: un fenomeno di per se illegale se viene trattato singolarmente, che macina miliardi di euro legalizzati?
Assolutamente. Il dossier di Azzardopoli parla del gioco d’azzardo come la terza industria d’Italia, prima dell’Enel. Le stime del 2012 raccolgono numeri imbarazzanti: circa centotrè miliardi di euro di fatturato di cui 88 legali. Di queste cifre lo Stato incassa una percentuale minima, intorno agli 8-10 miliardi, e questo volume è pari a 16 volte il fatturato di Las Vegas.
Perché si è insinuata questa piaga nel nostro Paese? E’ dettata forse da un preconcetto culturale o un atteggiamento sociale insito nel nostro dna?
L’informazione gioca un ruolo predominante. Televisivamente parlando, un esempio chiaro è il gioco dei pacchi: non si punta sul talento della persona, perché il successo viene scandito dalla fortuna, dal caso. Stessa legge per il gratta e vinci, complice quest’epoca di crisi, senza troppe congetture si tenta la fortuna, è alla portata. Insieme poi alla pubblicità del vincere facile scatta una miscela esplosiva che promuove un gioco che tutto sommato diverte anche.
Mauro Vanetti e Ludovica Cassetta arrivano da Pavia per prendere parte all’incontro, portavoci del collettivo Senza Slot. E tentano di sensibilizzare il sistema da dentro, con gli strumenti che hanno, capendo e studiandone il meccanismo.
C’è un sottobosco delle slot, un mondo sotterraneo che striscia e che ad occhio nudo non si percepisce..
Si. E’ una fauna umana che si crea nei bar intorno alle macchinette. C’è il giocatore (impiegato, operaio, pensionato, disoccupato, studente), generalmente di ceto medio-basso, e poi ci sono le figure che si muovono intorno. C’è il voyeur che segue il corso della slot: le macchinette restituiscono dei soldi e abbassano la loro probabilità di vincita, se invece non si vince da molto tempo questa probabilità chiaramente si alza, perché per legge devono stare intorno ad una percentuale. Queste persone contano le vittorie degli altri giocatori e si posizionano a loro volta per poter rilevare i soldi delle macchinette che sono in credito.
E accanto al voyeur c’è una figura dominante: l’usuraio..
Esatto. Pare che il maggior interesse delle mafie nel gioco d’azzardo stia nel prestare usura ai giocatori. Ma non sempre prestano usura in cambio di interessi alti, perché il giocatore d’azzardo patologico ha pochissimi soldi. Se il giocatore chiede dei soldi che non è in grado di restituire, allora avviene il sodalizio: diviene uno schiavo a cui si commissionano deleghe di droga.
Prendendo in esame la vostra città, cosa avviene a Pavia che ha tanto destato la vostra attenzione?
Negli ultimi anni, quasi tutti i bar hanno deciso di installare le macchinette, con un’importantissima risposta da parte della gente.
C’è una deformazione del pensiero comune: in questi tempi, quello che le persone non vedono conquistabile attraverso la lotta per i propri diritti, lo proiettano nel gioco nella speranza di riscattare quello che gli spetta.
Quali sono gli strumenti che avete in mano ad oggi per far fronte alla piaga dell’azzardo, a questo punto?
Pochi. Non si può prendere di petto la questione, essendo un’organizzazione così collaudata. Parlare, cercare che se ne parli in tutti i modi possibili. La mappatura della città che abbiamo realizzato con le indicazioni dei bar, con e senza slot, è motivo di curiosità. La manifestazione fatta a Pavia dovrebbe aprire il varco a città più grandi. Quindi la mobilitazione è anche uno strumento politico essenziale.
Obiettivi?
Un obiettivo fondamentale è quello di sviluppare un programma di rivendicazioni, siamo stufi delle soluzioni per tamponare.
Abolire il gioco d’azzardo liberalizzato, cioè legalizzato ai privati, quindi il gioco che permette al privato di lucrarci sopra e che influenza anche lo Stato, perché lo Stato ragiona da privato, lo utilizza come uno strumento di lucro. Non meno importante è impedire la pubblicità: il fatto che ci si proietti a non fare niente nella vita grazie alla possibilità di vincere uno stipendio per la vita, crea un sedativo alla volontà di cambiamento reale della propria condizione. Un tempo era l’emigrazione a creare quest’aspettativa, il grande sogno americano.
di Nicoletta Renzetti