Le foto dei bambini sui social? Sono pericolose
«Per favore smettete di postare fotografie dei vostri figli su Facebook lasciando che siano accessibili a tutti. Anche i vostri figli hanno una privacy». A rivolgersi ai genitori che non riescono a non condividere sui social le foto dei loro bambini non sono gli amici telematici stanchi delle continue immagini di pappe, nanne e primi passi che affollano le nostre bacheche, ma la polizia di Hagen, in Germania.
Con un post pubblicato proprio sul social di Zuckeberg, in cui una grossa X rossa copre il volto di una bambina, i poliziotti tedeschi si sono rivolti alle famiglie, spesso ignare che un gesto da loro ritenuto innocente possa avere conseguenze incontrollabili. Non solo sulla vita futura del bambino, che potrebbe essere messo in imbarazzo dall’immagine di lui o lei che i genitori hanno diffuso sui social, ma anche a causa dell’uso che di quelle immagini potrebbe essere fatto. «Spesso vengono condivise foto sulla spiaggia o in piscina, ma le impostazioni della privacy le rendono visualizzabili da chiunque. Forse oggi vi sembrano immagini carine, ma per loro potrebbero essere imbarazzanti. Il bambino potrebbe essere attaccato o, peggio, le foto potrebbero finire nelle mani di un pedofilo». I piccoli, continua il messaggio – già condiviso da quasi 150.000 utenti – hanno diritto alla privacy, proprio come gli adulti, ma la condivisione di contenuti che li ritraggono avviene senza il loro consenso e, spesso, senza la consapevolezza dei possibili effetti.
Quello della polizia tedesca è solo l’ultimo di una serie di allarmi lanciati dalle autorità. In Italia Valentina Sellaroli, Pubblico Ministero presso il Tribunale per i minori di Torino, all’indomani del lancio di Scrapbook – una piattaforma creata da Facebook per gestire le foto dei bambini – aveva messo in guardia dai pericoli insiti nei social, in un’intervista a Repubblica in cui rifletteva sulle possibili conseguenze della pubblicazione degli scatti dei minori. Condividere foto on-line, aveva spiegato, comporta dei rischi, primo tra tutti l’esposizione dei piccoli a un pubblico troppo vasto entro cui è impossibile individuare i malintenzionati, potenzialmente pericolosi per la loro incolumità: «Non è così frequente ma neppure irrealistico il rischio che persone di questo genere (genericamente pedofili o persone comunque interessate in modi non del tutto lecite ai bambini) possano avvicinarsi ai nostri bambini dopo averli magari visti più volte in foto online». Ma ci sono altri rischi, più “indiretti” ma non meno gravi: è il caso delle immagini pedopornografiche, spesso ricavate da scatti innocenti attraverso programmi di fotomontaggio più o meno sofisticati.
Un pericolo che, secondo lo studio dell’Australia’s new Children’s eSafety non è affatto remoto: secondo le ricerche, infatti, almeno la metà del materiale pedopornografico sequestrato dalla polizia proviene dai social network, in particolare da immagini condivise da genitori o amici. Scatti innocenti, momenti di gioco, affetto e vita quotidiana che un tempo erano racchiusi in un album e mostrati ad amici e parenti stretti e che adesso vengono consegnati al mare magnum della rete perdendo «ogni controllo sul loro destino», spiega Toby Dagg, uno degli investigatori che ha lavorato al progetto. Secondo il responsabile della Commissione Alastair MacGibbon, intervistato dal Sidney Morning Herald, «le famiglie, molto ingenuamente, aprono blog dove catalogano ogni aspetto della vita dei loro figli senza nessuna protezione contro questi tentativi ossessivi di scaricare le foto e i video». E sono decine di migliaia le immagini condivise su Facebook, Kik e Instagram, dal selfie con il bebè appena nato agli scatti che documentano giorno dopo giorno la crescita dei piccoli. «Pensate», ha continuato MacGibbon, «che in media entro 10 giorni dal momento in cui è stato caricato il materiale è stato visto 1,7 milioni di volte e la maggior parte è diventato contenuto di discussione sessuale esplicita sui siti pedofili incriminati».