Se non frequentate il mondo del cibo e la vostra esperienza sull’argomento si limita ad aver sfogliato distrattamente le pagine del “Il Talismano della felicità” della nonna o aver guardato saltuariamente la seconda stagione di Master Chef, potrebbe esservi sfuggito. Se invece siete foodblogger navigati, veri o presunti critici gastronomici (esistono ancora?), oppure produttori di tartufi sopraffini, commercianti di Franciacorta, non potrete non aver notato il piccolo caso scoppiato in questi giorni su “Gli sbafatori” di Camilla Baresani.

Il libro, uscito nel Settembre di quest’anno, è un romanzo lampo sull’ascesa sociale di una giovane foodblogger, Rosa, che riesce a guadagnarsi un posto in quello che Baresani definisce “il banchetto collettivo”, spudoratamente “a sbafo”. Passaggio fondamentale di questa escalation: la conoscenza con il più importante critico enogastronomico d’Italia, con cui intrattiene a singhiozzi un convulso rapporto amoroso e che si trova sul crinale di una carriera in declino tanto quanto quella di Rosa è inversamente in salita.

Con sagacia, ironia e una giusta fetta di sobria eleganza, il vero focus del romanzo si assesta sulla descrizione minuta e scientifica del rituale che nel mondo dell’enogastronomia sembra aver preso il posto di un codice deontologico: lo scrocco. Così, proprio dove tutto ciò si realizza nella metafora di un accattonaggio di massa, il mondo della critica, del giornalismo, dei blogger, ma anche di uffici stampa e produttori viene minuziosamente dissezionato per restituire un quadro grottesco e divertente di una piccola realtà italiana.

Dalle pagine del Corriere della Sera, Beppe Severgnini è intervenuto per dare conforto allo scritto di Baresani, sottolineandone le finalità pedagogiche e avvenieristiche. Eppure nel farlo, scivola in un tranello così elementare, svelando l’intento massonico del suo compiacimento. Nel rispondere alla domanda: “Chi sono gli Sbafatori?” Severgnigni sentenzia: “Sono i giovani italiani che sognano una professione – il giornalismo specializzato – e finiscono per farne un’altra: promozione mascherata e pubblicità nascosta”. Un po’ come a dire, che gli ultimi arrivati nella categoria non hanno gli strumenti, la morale e lo stipendio per intaccare i privilegi che da sempre i soli giornalisti, veri professionisti hanno.

E allo stesso modo rimane inconcludente, seppur ridendo con gusto, la risposta di Visintin, che vediamo dipinto nei panni dell’uomo mascherato a pagina 94 e riconoscendosi risponde con garbo: “Spero solo che non si sia accanita soltanto su chi scrocca soggiorni, cenette e tartine. Perché i guasti sono assai più profondi e articolati” anche qui a dire sibillinamente c’è anche questo, ma i problemi son altri. Perciò, perché scomodarsi a criticare o meglio a leggere questo libro di 100 e rotte pagine?

A questa domanda risponderemo che non c’è menzogna in quello che la Baresani racconta e un solo giro di giostra a una cena di presentazione o evento food & beverage basterebbe a dissipare ogni dubbio sul fatto che esiste davvero un mercato del cibo in cui i tweet sono merce che si paga a suon di hotel di lusso. La dovizia assoluta di particolari, alcuni veri alcuni mascherati, impreziosiscono il racconto così genuino e didascalico della vita di Rosa. Con una precisione quasi cronistica, il libro imperversa su questo mondo senza per questo scadere nella critica, nel moralismo, nella pretenziosità. Per questo e per i molti accenni di piccola comicità, “Gli sbafatori” è un piccolo gioiellino di giornalismo e letteratura.