Unioni civili: tutte le promesse (disattese) di Renzi
Il Paradiso europeo dei diritti lgbt? Strano ma vero, è Malta. Dal 2013 a oggi il Paese è passato dal 13° posto nella classifica dei diritti stilata dall’Ilga al primo. Merito delle politiche del governo laburista, che ne ha fatto il fiore all’occhiello dei Paesi più equi. L’Italia, invece, continua a stazionare nelle retrovie della classifica, piazzandosi al 35° posto dietro Cipro e Polonia. Capire il perché non è difficile: dal 2013 a oggi, infatti, invece che progressi il Belpaese ha collezionato solo una lunga serie di promesse disattese e rinvii. E se ci fosse da stilare una classifica dei politici che più hanno promesso e meno hanno mantenuto in materia di diritti LGBT il vincitore indiscusso sarebbe Matteo Renzi,.
“Unioni civili entro 100 giorni”: l’aveva promesso nella campagna elettorale del 2012, ma era stato sconfitto. L’anno successivo, però, con la vittoria delle primarie del Pd, Renzi era tornato alla carica. Nemmeno una settimana dopo essere diventato Segretario, aveva indicato tra i punti chiave di un’agenda che il Pd «deve imporre al governo» proprio le unioni civili, e in gennaio aveva twittato gagliardo: «Al governo con Ncd il Pd starà il tempo necessario per far approvare ius soli e civil partnership alla tedesca, su questo non c’è discussione!». In quei primi giorni del 2014 sembrava addirittura che Renzi fosse disposto a far cadere il governo Letta – a cui ufficialmente giurava fedeltà e collaborazione – sull’altare dei diritti gay.
Una volta insediatosi al governo, sembra che la sua sete di diritti si sia attenuata, rinvigorita di quando in quando da proclami in cui erano annunciate scadenze immancabilmente disattese, in un eterno procrastinare. Per qualche mese le unioni civili sono cadute nel dimenticatoio finché nel giugno 2013, Renzi è tornato all’arrembaggio: «A settembre, dopo la riforma della legge elettorale, realizzeremo un impegno preso durante le primarie, un impegno vincolante e lo faremo d’accordo con esponenti della maggioranza e Parlamento: quello sui diritti civili». Prossima fermata, diritti per tutti, o quasi. Il DDL Cirinnà, presentato qualche giorno dopo, infatti, assicura il minimo sindacale dei diritti, ma è ben lontano dall’uguaglianza di fatto. Nonostante questo, Sel e M5S si sono dichiarati disposti ad accettare un compromesso al ribasso pur di portare a casa la legge. Forse impaurito che potesse davvero essere approvata entro settembre, in luglio Renzi è tornato sui suoi passi: la legge sulle unioni civili sarà fatta dal governo, e addio Ddl Cirinnà. Una prospettiva che, considerando che sui banchi del governo siede l’NCD di Alfano, fa presagire scenari foschi. La proposta, però, non arriva mai. Ad arrivare, invece, è settembre, mentre la legge languisce in Commissione. Niente paura, Renzi ha già pronta una nuova – e molto più lontana – scadenza: 1000 giorni, così per un po’ non se ne parla più.
Un mese dopo, però, dalla poltrona di Domenica Live arriva una nuova accelerata: dopo la riforma del Senato sarà il turno delle unioni civili, in Parlamento entro fine anno, al massimo entro gennaio 2015. Più realista, in dicembre la relatrice Monica Cirinnà prevede la calendarizzazione in aula per marzo, ma anche questa aspettativa si rivela infondata. Seppellita sotto le discussioni e quasi 4.000 emendamenti, la legge resta in commissione. Renzi, però, sembra fiducioso e il 10 marzo twitta: «E’ la volta buona. Sulle unioni civili ho preso un impegno con gli italiani. Siamo già in discussione in Parlamento». Non contento, una settimana dopo rilancia: “Unioni Civili entro maggio”.
Anche nel partito, però, le certezze iniziano a scricchiolare e, mentre la primavera ha ormai lasciato il posto all’estate, il sottosegretario alle riforme Scalfarotto annuncia uno sciopero della fame finché la situazione non si sbloccherà. Digiuno sospeso il 18 luglio, dopo il discorso di Renzi all’assemblea PD che rimanda tutto a settembre: di date certe non c’è traccia – quel che è sicuro, dice, è che sarà «prima del 15 ottobre» – e le Camere chiudono i battenti per le vacanze estive.
In settembre, alla Festa dell’Unità, nuovo proclama: «Sono fiero perché dopo anni di rinvii faremo la legge». Come se i rinvii fossero opera di qualcun altro. Al ritorno in commissione, l’unica novità è l’ennesimo passo indietro per accontentare i cattolici del Pd. Il 2 settembre un emendamento ridefinisce le unioni tra due persone dello stesso sesso “formazioni sociali specifiche”: se le parole sono importanti, queste la dicono lunga sulle intenzioni del Pd.
A far slittare ancora in avanti le decisioni, però, è soprattutto il nodo affido-adozione, di cui si discute in queste ore. A Che Tempo che Fa, Renzi ha detto che «spera» che la legge arrivi presto in Parlamento e che le unioni civili, «Comunque si fanno». E se l’ha detto ci sarà da fidarsi, no? Lui è uno di parola, #statesereni. Peccato che non abbia detto quando. L’ipotesi più probabile è che non se ne parli prima del 2016, a meno che il ddl non venga calendarizzato prima della riunione di bilancio del 15 ottobre, una soluzione che appare quanto mai improbabile. Ricordiamocelo questo ennesimo rinvio quando (se) la legge approderà davvero in Parlamento e Renzi si presenterà come “l’uomo del fare” e il paladino dei diritti.
Il vero problema, però, è che continuiamo a procrastinare e ritoccare una legge nata vecchia, che ispira alle legislazioni europee di decine di anni fa, ormai sempre più spesso superate dal matrimonio esteso a tutti. Davvero vogliamo accontentarci del minimo dei diritti, che servirà solo come “contentino” e come scusa per non concedere la vera uguaglianza? Dopo anni di proclami, promesse, retromarce e diritti usati come merce di scambio con cattolici, possiamo davvero accontentarci di questa trattativa al ribasso fingendo di fare dei passi avanti?