Amministrative 2013, il voto che non ti aspetti

All’indomani del voto, sepolti da una valanga di numeri e percentuali sui candidati, oltre che dai dati sull’astensionismo, tanto gli eletti quanto gli elettori fanno il punto sui risultati di queste amministrative, cercando di capire se c’è da esultare oppure no.

Giunto a termine il tour de force elettorale che dalle politiche ci ha catapultati direttamente nelle amministrative, si contano i voti e si tirano le somme dentro i partiti. Lo scenario apre alla riflessione su almeno due questioni fondamentali. La prima è che dopo la decretata morte del Pd probabilmente nessuno si aspettava che il centrosinistra fosse in testa praticamente ovunque, quantomeno in tutti i capoluoghi di provincia. Siena, nonostante lo scandalo del Monte dei Paschi, resta roccaforte rossa inespugnabile, tanto che il simbolo del Pdl non compare in nessuna lista. A Vicenza e Imola sono già stati eletti sindaci, senza bisogno del ballottaggio, i candidati di centrosinistra Achille Variati e Daniele Manca. Altrove bisognerà aspettare i tempi supplementari ma laddove la rilevanza è maggiore, ovvero a Roma, lo scarto è già significativo, di oltre il 12%: Ignazio Marino si attesta sul 42,60% lasciando indietro, al 30,27%, Alemanno che non sapendo che pesci pigliare dà la colpa al derby, che avrebbe tenuto gli elettori lontani dal seggio. È vero che l’astensionismo, altissimo ovunque, ha toccato a Roma la vetta del 47,20%, per cui quasi un cittadino su due non si è recato alle urne, ma è ridicolo provare ad addossarne la colpa al match tra Roma e Lazio. Certo è che finché mancherà l’autocritica l’astensionismo continuerà a essere il primo partito.

Un po’ di autoanalisi dovrebbe farla anche il Pd, che sembra crogiolarsi nei buoni risultati di queste amministrative estendendo il successo sul piano nazionale, quando si tratta invece di situazioni non del tutto sovrapponibili. Essere il meno peggio non vuol dire essere vincitore, soprattutto in un paese in cui il 37,59% delle persone ha preferito non votare affatto. Ci vuole un bel salto dunque per arrivare alle conclusioni che ha tratto il neosegretario del Pd Epifani, che ha definito l’esito «un risultato che premia la governabilità» e «dà respiro al partito», affermando che ora «per il Pdl è più difficile minare il governo Letta».

L’altra grande questione è il tracollo senza eccezioni del Movimento 5 Stelle, che resta fuori da tutti i ballottaggi. La giustificazione disegnata da Grillo è quella di un’Italia divisa in due, con una parte costituita da salariati statali e pensionati che è interessata a mantenere lo status quo. Per quanto lo sforzo immaginifico sia ammirevole manca tuttavia di attendibilità. Se il nostro paese fosse diviso in tal modo doveva pur esserlo anche a febbraio, quando invece le politiche avevano dato un risultato ben diverso. Guardando ai numeri vediamo che sono la cartina tornasole di una delusione nei confronti del M5S da parte di chi pure l’aveva votato, delusione che si è tradotta per lo più nel ritorno all’astensionismo consapevole e forse in qualche caso ha riportato qualche voto al Pd. Gli italiani sono inquieti e instabili e almeno questo è evidente.

di Francesca De Leonardis

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