Perchè l’Europa ha ragione a bacchettare il Governo sulle tasse
E’ l’Unione Europea ad intervenire sul sistema tributario italiano per bacchettare il Governo. Il rapporto annuale della Commissione Ue sulla fiscalità riaccende lo scontro con Palazzo Chigi, dopo l’annuncio del Premier su l’eliminazione di Imu e Tasi.
Il rapporto definitivo dell’Ue sulla legge di stabilità è previsto per metà ottobre ma Bruxelles già tira le somme sulla situazione economica italiana impartendo i primi consigli. Tre i punti cruciali della valutazione comunitaria:
- Le tasse sul lavoro. «Un peso fiscale relativamente alto sul lavoro» secondo l’Unione grava sull’Italia, che tassa troppo lavoratori e datori di lavoro laddove ci sarebbe un margine per spostare il «peso fiscale a imposte meno distorsive» come quelle sui consumi, sugli immobili e sull’ambiente. Tasse considerate dall’Ue «meno dannose per la crescita».
- Il costo della casa. L’Italia «ha tasse relativamente alte sulle compravendite immobiliari mentre le tasse annuali sulla proprietà non sono particolarmente alte» questo per Bruxelles «continua a favorire l’accumulazione del debito». In altre parole in Italia costa troppo comprare una casa mentre mantenerla relativamente poco se ci si confronta con la media europea. Una valutazione in netta controtendenza con l’annuncio del Governo di abolire Imu e Tasi.
- Iva e consumi. Vivere in Italia costa troppo con una tassazione indiretta eccessiva. «Un gap significativamente più alto della media Ue» commenta l’Europa , in particolare va limitato« l’uso dei tassi ridotti e di esenzioni non obbligatorie» con maggiore attenzione al settore tcl ed energetico.
Lapidario il Premier, Matteo Renzi, che non accetta critiche. La risposta di Palazzo Chigi arriva da New York e non sembra affatto conciliativa: «Quali tasse ridurre lo decidiamo noi, non un euro burocrate a Bruxelles» dichiara Renzi, aggiungendo « Compito dell’Ue non è mettere bocca su quali scelte fiscali fa uno stato» e ancora «Confermo l’eliminazione nella legge di stabilità della tassa sulla prima casa per tutti e per sempre». Reazione orgogliosa quella del Presidente del Consiglio se non fosse che a questo genere di manovra gli italiani sono abituati da tempo avendone assaggiato anche lo scarso successo. 4 miliardi sarebbe l’investimento previsto per l’eliminazione delle tasse sulla casa, una torta ridistribuita però a fette impari. Non serve un economista per capire che più alto è il valore della casa, più alta è la tassa e più alto sarà lo sconto che il Governo promette di elargire. In altre parole: un proprietario di casa al centro di Roma che oggi subisce una tassazione di 10 rispetto a quello proprietario di un appartamento in periferia che la subisce di 5, domani si vedrà decurtare 10 rispetto ai 5 dell’altro. Quei quattro miliardi finanzieranno, in definitiva, le tasche di chi oggi paga di più e non quelle di chi, proporzionalmente al suo reddito, ha un immobile di modesto valore o addirittura un immobile nemmeno ce l’ha. Una scelta perciò, quella del Governo, di favorire le classi più abbienti a scapito delle famiglie più in difficoltà. Volendo guardare la luna e non il dito, verrebbe da chiedersi il perché di questa scelta: rilanciare i consumi? Sembra improbabile, d’altra parte le fasce abbienti spendono già. Creare consenso? Probabile, ma in vista di cosa? Non è dato saperlo. Perciò magari questa volta l’Unione andrebbe ascoltata, detassare lavoro e consumi infatti sembra una scelta gran lunga più oculata.