Costituzione: i listini di Renzi e i veti della Boschi

I listini di Renzi e i veti di Maria Elena Boschi, si riassume così la querelle delle ultime settimane tutta interna al Partito democratico, che coinvolge le riforme costituzionali ed in particolare la tanto discussa eleggibilità del nuovo Senato delle Autonomie.

 

GLI SCONTRI – Un derby che si gioca in casa per il Presidente del Consiglio che ribadisce in direzione il divieto all’elezione diretta dei nuovi senatori. Plauso all’unanimità della platea ma è un tifo senza stadio perché mancano i principali competitors: la minoranza dem che decide di disertare il voto. La querelle ha origini lontane. Volendo ricapitolare il ddl Boschi, neo-madre costituente, andrebbe a ridisegnare la composizione del Senato trasformandolo in una Camera delle autonomie composta da membri di seconda elezione. Tali membri, alcuni scelti tra i sindaci della regione e alcuni tra consiglieri regionali, sarebbero infatti eletti dagli stessi Consigli Regionali. Proprio su questo punto perciò si apre lo scontro interno tra i democratici. La minoranza del Pd rivendica la necessità di un elezione diretta da parte dei cittadini, mentre l’ala filo-governativa tiene il punto sull’ineleggibilità dei laticlavi. Le rivendicazioni, a botte di comunicati stampa, davano fino a pochi giorni fa Maria Elena Boschi ferma sull’immodificabilità della riforma così dichiarando, il 20 settembre: «La porta del dialogo è sempre aperta, credo però che sia giusto che non ci siano veti, sicuramente non ci sono da parte della maggioranza, a maggior ragione non devono esserci da parte della minoranza» è il veto al veto del Ministro per le riforme. Una posizione, quella della Boschi, confermata in più occasioni anche dal Premier che però in direzione sembrerebbe aver lasciato agli avversari qualche margine d’apertura. La novità ipotizzata sarebbe il così detto “listino senatoriale” che in buona sostanza, bloccato e preimpostato, darà nota ai cittadini chi saranno i nuovi consiglieri e nuovi consiglieri-senatori. In questo sistema le preferenze espresse, infatti, dall’elettore non determinerebbero i ruoli che effettivamente gli eletti ricopriranno ma fungerebbero come una sorta di “preselezione” laddove l’ultima parola rimarrebbe sempre al Consiglio Regionale. In pratica una misura abile atta ad aggirare un conto alla rovescia che rischia di far ricominciare tutto d’accapo e che così eviterebbe di modificare l’art.2 nella speranza che i pesci dissidenti abbocchino al grido del solito ” o mangi sta’ minestra o salti sta’ finestra”. E’ il veto al veto renziano la vera manovra politica degna di essere raccontata. Un veto al veto che però stona di più se applicato, come è successo, anche al Presidente del Senato:Piero Grasso. Tacciato di ingerenza dal Premier, la seconda carica dello stato ha mal digerito l’attacco mediatico di Matteo Renzi che sempre in direzione ha avuto premura di precisare: «Se il presidente dovesse aprire a modifiche all’art.2 si dovrebbero convocare Camera e Senato perché saremmo davanti ad un fatto inedito». Secca la replica di Grasso: «Queste non sono né pressioniminacce, almeno per me. Io ne ho vissute ben altre e non hanno mai influenzato il mio comportamento, lo sanno bene tutti». La strada sembra farsi sempre più in salita.

 

I PERCHE’– Orbati e angariati i cittadini di cavilli e trame politiche, spesso le riforme costituzionali diventano il vocabolario degli addetti ai lavori, nel perdersi di una sensibilità comune incarnata nella stessa Costituzione. Sebbene percepite come lontane, le riforme costituzionali meritano un’analisi nelle loro possibili implicazioni ma soprattutto in vista dell’impatto che avranno sul potere di scelta dell’elettore. Volendo tirare le somme, ci si accorge che i meccanismi sono più semplici di quanto si pensi: a democrazia rappresentativa corrispondono elezioni, a elezioni corrisponde una legge elettorale, ad una legge elettorale corrispondono organi istituzionali da formare e disciplinare, “per fare un albero ci vuole il seme” diceva il motivetto. Allo stato attuale però il combinato disposto tra legge elettorale (Italicum) e riforma del Senato paventa il rischio che ai cittadini sia rimasto ben poco da decidere. I capilista bloccati, l’ineleggibilità dei senatori ed un forte premio di maggioranza potrebbero infatti alterare il naturale processo di partecipazione democratica allargando la forbice della disaffezione e dell’ astensionismo. Così finita la telenovela democratica e una certa retorica delle certezze, a riflettori spenti e sipari calati, potremmo accorgerci di come gli unici ad aver perso saremo proprio noi.