Vince Djokovic, rimpianto Federer
E’ stata una finale maschile per certi versi atipica, la prima arbitrata da una donna, l’ultima giocata in vista dell’entrata in funzione del tetto. E come già a Wimbledon 2008, nell’ultima occasione “utile” il cielo ha voluto dire la sua, ritardando per più di tre ore l’inizio delle ostilità.
Djokovic ha ribadito la propria superiorità sul tennis, questo terzo Slam annuale issa la sua stagione all’altezza di quella del 2011, che però aveva più valore poichè realizzata contro un Federer più giovane ed un Nadal ancora competitivo. Roger ha messo in mostra il consueto campionario di pregi e difetti. Ammirevole a 34 anni danza sul campo con la solita eleganza fornendo uno spettacolo all’altezza, ma oramai contro questo avversario è destinato a perdere sempre nei 3 su 5. Rispetto a Wimbledon, ha avuto maggiori opportunità ma le ha mancate, grida vendetta la sua incapacità di concretizzare nei momenti che contano. Ingiocabile per 6 partite, il suo servizio è stato messo a repentaglio con sei palle break già nei primi due turni. Djokovic mette una diversa pressione su chi ha dall’altra parte, cresce a seconda di chi ha di fronte. Si stacca nel settimo game, passando l’avversario venuto a rete sulla seconda, salva una palla break nel gioco successivo ed è 6-4. La seconda frazione, pur vinta, rappresenta la quintessenza dell’inefficacia dello svizzero nei momenti chiave. Inizia mancando 5 palle break nel secondo gioco, poi sul 5-4 in suo favore ottiene due set point fallendo il secondo in modo incredibile, dritto a campo aperto messo lungo con Djokovic già rassegnato. Nole vince questo game di quasi un quarto d’ora e 20 punti, ma poi cede nel proprio successivo turno di battuta e con un rovescio vincente Federer fa 7-5. Ha vinto il set, ma quella fatica ulteriore dal 5-4 in avanti gli resterà nelle gambe e nella testa.
E’ il terzo set a decidere. L’elvetico sembra cedere subendo il break al terzo gioco da 40-15 dopo aver messo in corridoio tre dritti, ma poi ottiene il controbreak. Sul 4-3 si procura prima una e poi una seconda palla che lo porterebbero a servire per il set. Dritto a metà rete sulla prima, progressiva perdita di campo dopo un inizio di scambio dominato nella seconda. Sarebbe bastato un colpo un poco più profondo, o forse solo il Federer che si procura le palle break, anziché quello che se le gioca. Nel game seguente, come previsto, si fa rimontare da 40-15 e cede la battuta. Djokovic va a servire per il terzo, annulla altre due palle break – sulla seconda Roger domina il palleggio ma sbaglia l’ennesimo dritto – 6-4.
Quarto set annunciato senza storia, e Nole si ritrova avanti di due break sul 5-2. In cima al cornicione, Il Genio reagisce e sul 4-5, servizio serbo, sale 15-40, palla break numero 22 e 23 della sua partita, convertite 4. Nella prima, è lento a spostarsi sul dritto. Nole salva la seconda con un servizio vincente: 6-4.
Svizzero tradito dal dritto, 29 gratuiti sono troppi. Non ha ricavato abbastanza dal servizio, attaccabile la sua seconda, bassa la percentuale di prime. Djokovic ha 28 anni, dieci Slam, una salute di ferro ed un futuro luminoso. Vincerà ancora molto, non si vede nell’immediato chi possa contrastarlo.
Il pubblico è stato tremendamente scorretto, soprattutto per le grida fra prima e seconda. Il tennis dovrebbe volare ben più in alto rispetto ad altri sport. Eppure bisognerebbe domandarsi perchè Federer riceva sempre, dovunque, tutto questo sostegno. Non solo perchè è vecchio, gli accadeva anche da giovane. Non solo perchè vince meno, accadeva anche quando era n.1. Non solo per il suo atteggiamento, anche Nadal e Djokovic sono modelli di correttezza. E’ il gioco. Quel gioco classico, diverso, che ricorda gli artisti del passato e che lui seguita ad interpretare con maestria. Chi ama il tennis sa che il suo stile rischia di morire con il suo ritiro, almeno ai massimi livelli. E lo celebra, lo sostiene, spesso più dei beniamini di casa. Non ci resta che sperare che in qualche angolo del globo il suo tennis funga da esempio per qualche ragazzino che sta prendendo in mano una racchetta, e che possa un giorno salvarci dall’omogeneità verso cui stiamo andando pericolosamente incontro.