Quella volta che Nadal insegnò il tennis a Federer

Difficile essere d’accordo con quelli che ora ipotizzeranno un Federer non in forma. In realtà lo svizzero l’ha provate tutte, ha sbagliato tanto, e non è (quasi) mai riuscito a trovare contromosse alla principale chiave tattica di Nadal: correre e tirare forte, come se ogni dritto fosse l’ultimo.

 

Era la finale più attesa, il XXX atto della sfida tennistica per eccellenza di inizio secolo: Rafa Nadal contro Roger Federer. Per la felicità dei buongustai del Foro Italico, che speravano con malcelato desiderio nella replica dell’epica finale del 2006, quando vinse lo spagnolo soltanto al tiebreak del quinto set. Eccoli accontentati, almeno all’apparenza. Perché in realtà la finale 2013 di epico ha avuto solo la scoppola rimediata da Sua maestà: 6-1 6-3 in 1 ora e 9’ di gioco. Il primo set scivola via veloce, in maniera quasi imbarazzante. Federer porta a casa il primo turno di servizio, poi la luce si spegne. O meglio, Nadal accende la sua, e torna a macinare quel tennis devastante con cui in semifinale ha stracciato Berdych (il carnefice di Djokovic). Due break e chiusura facile a 6-1. Federer sbaglia anche le cose più semplici, irretito dalla tattica attendista dello spagnolo, che domina nello scambio lungo e guadagna lentamente campo fino ad imporre il suo ritmo.

Ritmo che Sua maestà non è capace di reggere neanche nel secondo set. Nadal va subito sul 3-0, poi sul 5-1 subisce lo scatto d’orgoglio dello svizzero, che “breakka” e si riporta sul 5-3. Però col gioco infernale imposto da Nadal la rimonta è inservibile. A Federer non riesce neanche di tenere il match col servizio, perché il suo avversario lo aspetta con le spalle attaccate alle gradinate. Da lì ogni palla è praticamente innocua, occorre solo la forza e la precisione per rimandarla oltre la rete. Per questo Nadal, in formissima, è uno scherzo. E allora è lo spagnolo a portare a casa il titolo, il settimo a Roma. È lui il re della terra rossa. Federer invece perde la sua terza finale in carriera agli Internazionali d’Italia, resterà uno dei rarissimi grandi spazi vuoti in una bacheca che scricchiola sotto il peso di 76 splendidi trofei.

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