Caporalato: le nuove norme per dire stop!
Colpire la ricchezza accumulata illecitamente da chi sfrutta i lavoratori attraverso la confisca dei beni: questo l’obiettivo degli interventi normativi presentati lo scorso venerdì 4 settembre dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e da quello delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Maurizio Martina, per sconfiggere il caporalato.
Una piaga antica e inaccettabile, quella dello sfruttamento del lavoro nero, che il Governo ha intenzione di combattere come la criminalità organizzata. Le disposizioni finiranno in un emendamento al provvedimento sulle misure di prevenzione ora all’esame della Commissione Giustizia Camera. «La reclusione – ha spiegato il ministro Orlando – è un deterrente che ha un effetto relativo: fa invece più paura l’aggressione patrimoniale di chi utilizza la manodopera in modo illegale». «La lotta al caporalato è una nostra priorità assoluta – ha dichiarato il ministro Martina – le azioni che stiamo impostando non hanno precedenti e danno il segno concreto del salto di qualità che vogliamo imprimere a questa battaglia. Il rafforzamento delle norme penali, in particolare legate alla confisca dei patrimoni, sono cruciali. Così come essenziale è l’introduzione di uno strumento d’indennizzo e sostegno alle vittime. Ricordo che lo strumento innovativo della “Rete del lavoro agricolo di qualità” è operativo dal 1° settembre. E giovedì prossimo all’Inps si riunirà di nuovo la Cabina di regia della Rete che abbiamo fortemente voluto con il ministro del Lavoro Poletti per definire il piano d’azione oltre l’emergenza. Oggi con il Ministro Orlando compiamo un passo decisivo. Nel frattempo ogni giorno si intensificano i controlli sul campo, con risultati significativi, in particolare nelle aree più esposte al fenomeno».
Le linee di intervento proposte prevedono la confisca obbligatoria del prodotto o del profitto del reato, oltre che delle cose utilizzate per la sua realizzazione, in modo che la decisione sulla destinazione di questi beni non sia più affidata alla valutazione discrezionale del giudice. Saranno soggetti a confisca, ad esempio, i mezzi utilizzati per accompagnare i lavoratori sul luogo di lavoro e gli immobili destinati ad accoglierli per la notte. Viene, inoltre, aggiunto il reato di caporalato tra quelli per i quali si determina la responsabilità amministrativa da reato da parte degli enti. Quando infatti lo sfruttamento del lavoro produce vantaggio per un’azienda, accanto alla responsabilità individuale dei singoli soggetti autori del reato, è fondamentale prevedere specifiche sanzioni anche a carico della società medesima. Viene anche aggiunto il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui all’articolo art. 603 bis del codice penale all’elenco dei reati per i quali può operare la confisca cosiddetta estesa o allargata. Questa misura patrimoniale, introdotta per colpire le grandi ricchezze illecitamente accumulate, anche per interposta persona, dalla criminalità organizzata scatta senza che vi sia un nesso tra beni e reati contestati bensì è sufficiente provare la sproporzione del bene rispetto al reddito o all’attività economica svolta dal soggetto e la mancanza di giustificazione circa la sua legittima provenienza.
Soddisfatto di queste nuove misure è il presidente della Confederazione italiana agricoltori (Cia), Dino Scanavino, che commenta così: «Il rifiuto del lavoro nero e del caporalato sono due dei principi cardine che guidano la nostra azione sindacale. Le eccellenze della nostra agricoltura devono essere legate non solo alla qualità ma anche alla dignità del lavoro e della vita delle persone impegnate».
Un plauso giunge anche dal Presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo che esorta le Istituzioni a «combattere senza tregua il becero sfruttamento che colpisce spesso la componente più debole dei lavoratori agricoli, con pene severe e rigorosi controlli. Serve – ha precisato Moncalvo – una grande azione di responsabilizzazione di tutta filiera, dal campo alla tavola, per garantire che dietro tutti gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali, ci sia un percorso di qualità che riguarda l’ambiente, la salute ed il lavoro, con una equa distribuzione del valore. E questo non è possibile se i pomodori nei campi sono sottopagati a 8 centesimi al chilo e le arance ancora di meno». «Dobbiamo impegnare le nostre forze – ha concluso Moncalvo – in una operazione di trasparenza e di emersione mettendo a punto un patto di emancipazione dell’intero settore agricolo in grado di distinguere chi oggi opera in condizioni di sfruttamento e di illegalità da chi produce in condizioni di legalità come la stragrande maggioranza delle imprese agricole che hanno assunto regolarmente 322 mila immigrati, provenienti da ben 169 diverse nazioni nel 2014».
@Fedefra85