Quanto dura il Governo Letta?

Come il Governo Monti prima di lui, anche il Governo Letta nasce sotto il segno dell’inevitabilità e dell’emergenza e fin dai primissimi giorni, probabilmente abbagliati dall’autorevolezza della balia presidenziale, la maggior parte degli osservatori gli ha pronosticato lunga vita.

L’immagine giovane e multietnica, costruita ad arte per nascondere i sottosegretari riciclati sotto il tappeto, ha probabilmente influenzato i primi giudizi e lo stesso Letta nel discorso inaugurale ha alimentato questa atmosfera miracolosa di ritrovata governabilità, sciorinando un vastissimo programma di legislatura privo di cifre e pieno di promesse. Un Governo talmente solido da permettere perfino una profonda e salvifica riforma costituzionale: come se far riscrivere da Gasparri e Schifani l’opera di gente come Calamandrei, Pertini ed Einaudi fosse qualcosa di auspicabile. I ritiri nell’ex-convento, a metà tra l’esercizio spirituale e la preparazione precampionato, possono anche creare un’illusione di coesione interna ma è chiaro che l’instabilità proviene dai partiti, le due gambe sbilenche e opportuniste su cui regge un governo impopolare.

Epifani ha assunto la guida dei cocci del PD col tipico entusiasmo d’un tacchino a Natale: difficile biasimarlo considerato che gli elettori strappano le tessere in piazza e inseguono i loro rappresentanti fin dentro ai ristoranti, i giovani attivisti occupano le sezioni e la dirigenza è divisa in una moltitudine confusa di fazioni bizantine. La segreteria di Epifani nasce priva di legittimazione e dunque paralizzata politicamente, completamente incapace di prendere iniziative fino a un congresso dal quale il partito potrebbe uscire trasformato. Non è ancora neppure chiaro se la segreteria verrà eletta con primarie aperte o se le regole verranno di nuovo cambiate. Il PD del dopo-congresso, ammesso che esista ancora, potrebbe avere una segreteria ostile a questa maggioranza o semplicemente interessata a liberare (o bruciare) le potenzialità elettorali di Renzi, con buona pace dei centouno frondisti.

Berlusconi, dopo aver criticato per vent’anni i processi televisivi, se ne organizza uno assolutorio su misura in prima serata sulla sua rete televisiva ammiraglia e in contemporanea, da noto statista e pacificatore qual è, raccoglie i suoi ministri in piazza per attaccare i magistrati che lo hanno appena condannato. Politicamente alza di continuo la posta minacciando e benedicendo il governo a giorni alterni: come ha sempre fatto in passato anche stavolta prenderà le decisioni di settimana in settimana con i sondaggi alla mano.

Grillo nel frattempo è sempre più perso tra gli scontrini della spesa, salvo gridare al Golpe quando il morale dei suoi rischia di abbassarsi. Letta e i suoi ministri camminano su una lastra di ghiaccio sottile, sono stati scelti per questo, spendibili e sacrificabili. Paradossalmente l’ancora di salvezza del Governo è la legge elettorale, più la si tira per le lunghe più il governo resta in piedi, visto che col Porcellum il rischio di pareggio al Senato resta ancora troppo alto. Lo stesso Presidente del Consiglio ha ammesso che questo non è il suo governo ideale e di non essere lui stesso il premier ideale (non possiamo che ficardi sulla parola). Infine, l’ultimo nemico di Enrico Letta, il più implacabile, è il tempo: o fa qualcosa di efficace subito o la crisi spazzerà via il suo esecutivo come ha fatto con gli ultimi due.

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