Migranti, il viaggio della speranza attraverso i Balcani
Il flusso, inarrestabile, non accenna a fermarsi. In migliaia sono arrivati negli ultimi giorni, in migliaia potrebbero arrivare nelle prossime ore. La frontiera macedone é aperta. Da giorni, ormai, decine di centinaia di migranti stanno attraversando il confine che divide la Macedonia dalla Grecia. Il cordone della polizia non é riuscito a contenere la spinta dei disperati che, attraversato il mare, non volevano né potevano permettere che a interrompere il loro viaggio della speranza fossero il filo spinato e i lacrimogeni.
Migliaia di persone, arrivate in gran parte dalla Siria ma anche dal Pakistan, dall’Iraq e dall’Afghanistan, fra cui tantissime donne e bambini. Stanche, sporche, affamate. Dopo giorni di attesa sotto la pioggia battente – giovedì le autorità macedoni hanno dichiarato lo stato di emergenza e chiuso la frontiera greca – hanno sfondato il blocco e ripreso la loro marcia verso un futuro migliore. Sabato sera, dopo ore di scontri, il cordone è stato allentato e circa duemila migranti hanno attraversato il confine. Come hanno confermato diverse testimonianze sarebbe stata proprio la polizia, che fino a poche ore prima aveva tentato di respingerli duramente, ad aiutarli a scavalcare la frontiera, delimitata da un filo spinato frettolosamente tirato su per impedire l’accesso. La Macedonia, consapevole di essere un Paese di transito e non un punto di arrivo per i migranti che sognano la Germania, la Francia, i Paesi Bassi o la Scandinavia, ha deciso di consentire il passaggio attraverso il proprio territorio anche sulla spinta delle pressioni internazionali e dalla condanna delle aggressioni e le violenze ai danni dei migranti. Manganelli e scudi antisommossa. Lacrimogeni, granate stordenti, proiettili di gomma. La polizia macedone, ai migranti intrappolati al confine senza cibo, acqua o servizi igienici, ha sparato addosso. A confermarlo anche Medici Senza Frontiere e Human Rights Watch, che già dalla giornata di sabato aveva chiesto di far luce sull’abuso di violenza da parte degli agenti schierati alla frontiera – tra cui anche le forze speciali e alcuni reparti dell’esercito – e sulla catena di comando che ha permesso un uso tanto eccessivo della forza: «Le Autorità macedoni dovrebbero proteggere i migranti, compresi i bambini e quelli tra loro che possono essere in fuga da guerre e da persecuzioni, non dare alla polizia luce verde per sparare contro di loro», ha dichiarato Emina Ćerimović, ricercatrice dell’associazione.
Nelle ultime ore le violenze sono cessate e a gruppi, anche di duecento o trecento persone, i migranti si sono riversati in Serbia, che nel fine settimana ha accolto oltre ottomila persone. Come la Macedonia, la Serbia non è la destinazione ultima del viaggio dei migranti, ma un modo per raggiungere l’Ungheria e, da lì, l’Europa intera. In quindici giorni sono stati ventitremila ad arrivare, ma i numeri sono destinati a crescere. A Belgrado sono stati aperti quattro centri di accoglienza per far fronte all’afflusso straordinario delle ultime ore e anche la popolazione serba si è mobilitata per portare alimenti e generi di prima necessità. Gli immigrati ottengono un permesso di 72 ore per lasciare la Serbia e raggiungere l’Ungheria, ma sul loro cammino ora si staglia il muro voluto dal presidente ungherese Viktor Orban proprio per tenere fuori gli sgraditi immigrati.Centosettantacinque chilometri di rete metallica alta quattro metri, filo spinato e lamette per bloccare quella che, sulla rotta del Balcani, è la prima porta dell’Europa. Già in migliaia, però, hanno superato l’imponente recinzione: non solo aprendo varchi nella rete ma arginando l’ostacolo a Kubekhaza, triplice frontiera tra Ungheria, Serbia e Romania, dove termina il muro. Orban promette «mai più profughi» e un’intensificazione delle pattuglie ma, come ha mostrato il caso macedone, non è facile tenere fuori la speranza che preme.