Goulag cinesi: in prigione senza passare dal via
Si chiama laojiao. E’ una peculiarità amministrativa cinese che il Paese dichiara aver superato, complice la corsa alla modernizzazione, e di voler archiviare perchè appartenente ad un’altra epoca. In altre parole si tratta di campi di rieducazione, vetrine del modello sovietico degli anni 50′ e ben distribuiti in tutto il territorio in 320 unità.
Un goulag vagamente rivisitato, complice il lavoro forzato che mira a fortificare lo spirito e far riflettere sui propri errori. Gli ospiti, secondo le stime dell’ONU del 2009, erano oltre 170.000 per reati non gravissimi: piccoli furti, prostituzione, droga o più comunemente refrattari all’ordine sociale, che di fatto contribuiscono al miracolo economico del Paese.
E allora via, tutti in viaggio, muniti rigorosamente di uniforme color ceruleo, come quei cieli del Tiziano verso le prigion-fabbriche, dirottati dall’altra parte del Paese. Con 12 ore di lavoro forzato al giorno, la pena viene formattata, previa eccezione in 4 anni, perchè in questo caso il grande drago chiude un occhio, magari tutti e due, e mette quasi tutti sullo stesso piano. Direttamente in prigione e senza passare dal via è l’altra peculiarità perchè non ci si può avvalere di un avvocato, e a detenere il controllo assoluto sul prigioniero è la polizia che supervisiona i casi personalmente.
Ma se si vuole credere (e perchè non si dovrebbe credere) al China daily, il Paese sembra essere sempre più convinto a virare verso la chiusura del campo rieducativo. Infatti, alla vigilia della riunione del Parlamento cinese che si vuole dimostrare propenso ad uno slancio verso una società più armoniosa siglata dal presidente Hu Jintao, dovrebbe essere preso in esame un progetto di legge che mira ad abolire questa realtà incivile, che mette la Cina in netta contraddizione con la sua propria Costituzione e con la Convenzione internazionale dei diritti civili firmata nel 1998.
Siamo nel 2013, aspettando la Cina.
di Nicoletta Renzetti