Premio La Giara, è d’oro quella di Alessandro Musto
A chi è toccata in sorte un’indole malinconica non sfugge la contraddizione che il momento della consegna di un premio racchiude in sé. Perché nell’attimo in cui viene letto il nome di colui che ce l’ha fatta e l’euforia si diffonde, il malinconico avverte quell’inconfondibile senso di tristezza che è proprio della fine di qualcosa. E ripensa a tutti coloro che hanno partecipato, al lavoro che è stato fatto, all’impegno di chi ci ha creduto. Tutto per arrivare lì, tutto per tagliare un traguardo che, in fondo, altro non è che la conclusione di un percorso.
È allora che la pericolosissima mente di quel malinconico, che certo non è famoso per la sua capacità di godersi il momento, inizia a vagare e – andando forse un po’ fuori tema – a riflettere sull’esistenza degli uomini. Perché un concorso non è, a ben vedere, metafora della vita, con le sue prove da superare per riuscire a farcela e un punto massimo di realizzazione? Ma, raggiunto quel punto, ha senso provare l’eccitazione degna del sabato del villaggio se siamo tutti inesorabilmente destinati a un lunedì mattina in città? E se la felicità non è altro che l’attesa della felicità stessa, davvero conviene augurarsi di arrivare a questa realizzazione? Che poi, essendo tutti “come le foglie”, serve perdere tempo a preoccuparsene? Generalmente parlando, insomma, le premiazioni possono essere un evento emotivamente faticoso per un soggetto malinconico.
La premessa che a questo punto va fatta è che questo articolo non nuocerà in alcun modo alla salute mentale di coloro che si sono riconosciuti nel profilo appena descritto, non intaccherà la spensieratezza delle loro vacanze, non ne turberà la serenità. Il premio di cui parliamo oggi è un traguardo che è linea di partenza per il suo vincitore, è la fine di una fase che segna l’inizio di una nuova, presumibilmente ancor più bella e gratificante. È il confine che separa l’avere il sogno di pubblicare il proprio romanzo dal pubblicarlo effettivamente. È il Premio Letterario La Giara.
Curiosando sul web non vi sarà difficile scoprire molte cose a riguardo. Che quella di quest’anno è stata la quarta edizione; che è nato su iniziativa di Rai Eri, marchio editoriale della Rai, ed è gestito dal Laboratorio di scrittura creativa che ne fa parte, guidato da Paola Gaglianone e Alessandro Salas con la collaborazione di Gabriella Ricciardi; che “è stato ideato per dare spazio e visibilità a giovani potenziali scrittori” ed è “rivolto, infatti, ad autori al di sotto dei 39 anni”; che ci sono “21 Commissioni Regionali di esperti della narrativa e dell’editoria, che scelgono in ogni sede i due romanzi migliori da inviare alla Commissione Nazionale” composta da personaggi come Pier Luigi Celli, Antonio Debenedetti, Gian Arturo Ferrari, Paolo Mauri, Marino Sinibaldi e Franco Scaglia, recentemente scomparso; che l’opera vincitrice ottiene la pubblicazione con Rai Eri. Leggerete i nomi di coloro che hanno trionfato nel 2012, 2013 e 2014, i titoli e le sinossi dei loro romanzi. Avrete queste informazioni, pure e semplici informazioni.
Quello che però non troverete sarà il racconto dell’immane lavoro che c’è dietro né un’idea delle persone che coinvolge. Dall’atto di fiducia che l’aspirante scrittore ripone nelle Poste Italiane, a cui decide a proprio rischio e pericolo di affidare il manoscritto – che sia quello di una vita, ormai impolverato nel cassetto, o quello che il fato ha voluto pronto un attimo prima della scadenza del bando – al momento in cui il vincitore ha un nome e può stringere tra le mani la giara d’oro, ci sono mesi di letture frenetiche dei giurati, di fogli spillati che sognano di diventare libri con una copertina rigida, di schede di valutazione, di confronto e di giudizi, di scelte e di dubbi, dell’emozione di aver scovato un buon libro o il terrore di aver cestinato un capolavoro. Mesi che hanno portato anche quest’anno all’individuazione della sestina finalista e, pochi giorni fa, della terna da podio.
Direttamente dalla piazza de “I Fatti Vostri”, eccezionalmente riaperta per l’occasione, è toccato a Giancarlo Magalli il compito di annunciare i nomi dei magnifici tre nel corso della puntata trasmessa lo scorso 31 luglio su Rai 2. Essendo a questo punto inutile qualunque tentativo di suspense, diciamo subito che la giara di bronzo è andata alla toscana Erika Bianchi e al suo romanzo Il rischio dell’inverno, mentre la giara d’argento si è spostata verso sud, precisamente in Calabria, dove Francesca Veltri ha scritto il suo Edipo a Berlino. Due donne su un podio dominato da un uomo: Alessandro Musto, torinese di nascita (ma con statisticamente prevedibili origini meridionali) e autore di Via Artom. È questo il titolo che, tra pochi mesi, comparirà nelle librerie, è di Alessandro il romanzo che gli italiani potranno presto leggere e di cui noi torneremo a parlare non appena i fogli da lui inviati nella sede regionale del Piemonte, otto mesi fa, avranno la famosa copertina rigida targata Rai Eri.
Le parole che trovate di seguito sono il frutto di una lunga e piacevole chiacchierata che abbiamo fatto con lui pochi giorni dopo la sua vittoria.
Come riassumerebbe la trama di Via Artom il suo autore?
Via Artom parla di alcuni ragazzi accomunati dalla voglia di cambiare vita, di dare una svolta alla loro esistenza. Lo fanno abbandonando le proprie origini e andando via di casa, per motivi differenti: uno cerca un riscatto, un altro per insofferenza, un altro ancora per motivi politici.
Come nasce l’idea di questo romanzo?
Lentamente, non è stata affatto improvvisa. I personaggi si sono sedimentati a poco a poco nella mia coscienza, si sono arricchiti nel corso di mesi, di anni. A richiedere più lavoro è stato Emanuele Artom, il giovane partigiano che dà il nome alla via. Io sono cresciuto nel quartiere torinese di Mirafiori Sud, il quartiere di Via Artom. Quella strada ha da sempre una fama terribile, nei miei ricordi d’infanzia era il luogo da cui stare lontani. Negli anni ho scoperto a chi era intitolata, a questo ragazzo di nome Emanuele, e da lì è iniziato l’interesse per il personaggio. L’idea del romanzo è nata forse con la consapevolezza che, a Torino, Emanuele è una figura che oserei definire semi-dimenticata. Ecco, la polvere che si è accumulata sul suo ricordo è stata una delle spinte principali alla stesura del libro. Poi si è aggiunta una seconda motivazione: tentare un confronto tra la sua giovinezza e quella dei ragazzi del XXI secolo.
Possiamo allora definire Via Artom un romanzo storico?
No, direi più che viaggia su piani temporali paralleli con qualche tentativo di contatto.
Hai da poco compiuto 39 anni, limite massimo per partecipare al Premio La Giara. È un caso o avevi questo romanzo pronto nel cassetto ma il coraggio di concorrere è arrivato solo con questo ultimatum anagrafico?
È stato assolutamente un caso. Avevo finito di scriverlo nell’estate del 2013 ma sentivo che non era pronto per concorrere quell’anno; mi sembrava troppo voluminoso, andava ridotto. Ci sono volute due revisioni prima di arrivare alla versione definitiva e ho messo il punto solo poco prima della scadenza del bando.
Domanda per i sentimentali: com’è il risveglio il giorno dopo aver vinto il Premio La Giara?
Il giorno dopo non lo so, l’aereo per tornare a Torino partiva troppo presto per permettermi di rendermene conto. Quello bello è stato il risveglio successivo, nella mia casa. Un senso di gratificazione per un lavoro faticoso e lungo, che negli ultimi anni non mi ha risparmiato pensieri e che è stato apprezzato da persone di cui ho una profonda stima. Ecco, più che semplice felicità è questo che ho provato.
Ora inizia il percorso che porterà il tuo libro alla pubblicazione con Rai Eri. Sai già quali saranno le prime tappe o per adesso ti godi spensierato la vittoria?
Non so ancora nulla se non che, ovviamente, i prossimi mesi saranno dedicati all’editing, di cui si sta preparando la bozza.
A proposito di editing: Roberto Moliterni, vincitore della terza edizione con il fortunato romanzo Arrivederci a Berlino Est, lo ha definito “come avere i ladri in casa”. Spaventato?
Un po’! È una paura che, lavorando nel mondo dell’editoria dal 2003, ho imparato a riconoscere. Però in questi anni ho capito anche quanto sia necessario che più menti diverse contribuiscano a perfezionare un’opera. Ho consapevolezza del funzionamento, insomma.
Molte altre cose abbiamo scoperto parlando con questo ragazzo, quarto vincitore di un premio così importante, ma decidiamo di non riportarle ora. Che sia il nostro augurio per il successo che merita, nella convinzione che torneremo presto a parlare del suo lavoro di scrittore.
Twitter: @Ludovica_Lops