La strategia della nuova Russia
La nuova strategia geopolitica della Russia non si differenzia di molto dalla vecchia strategia dell’ex URSS. Tra le ex repubbliche sovietiche, l’Ucraina occupa per la Russia una posizione del tutto particolare, difatti Kiev è anche conosciuta come “la madre delle città russe” in quanto da essa ha avuto inizio la costruzione dello Stato russo. Metà della popolazione ucraina è russofona e molti su entrambi i lati del confine comune reputano quello russo e quello ucraino un unico popolo, oggi diviso da una frontiera. La Russia è stato uno dei primi Paesi a riconoscere l’indipendenza dell’Ucraina. Lo sviluppo di relazioni amichevoli ed economicamente vantaggiose tra i due Paesi sarebbe continuato se non fossero intervenuti fattori geopolitici esterni. Nei circoli politici di Mosca, l’intrusione dell’Occidente negli affari ucraini veniva letta come il tentativo di indebolire la statura geopolitica della Federazione Russa, a livello sia politico che militare. Sulla situazione in Crimea, la questione chiave della vicenda è il riconoscimento della legittimità del referendum per l’autodeterminazione della Regione e la possibile adesione alla Federazione Russa. Ovviamente il punto di vista dei Paesi Occidentali e quello di Mosca sulla questione divergono completamente. La Russia si rifà al precedente del Kosovo, quando l’Occidente ne riconobbe l’indipendenza e il diritto degli albanesi all’autodeterminazione: cosa che le diplomazie occidentali si sono guardate bene dal fare dopo il referendum con il quale gli abitanti della Crimea hanno espresso la loro volontà.
La Russia, come noto ai più, non riconosce il “precedente kosovaro”, ma ha trovato il modo di utilizzarlo per il riconoscimento dell’indipendenza dell’Abkhazia, dell’Ossezia del Sud e adesso della Crimea. Molti si sono chiesti: perché gli Stati Uniti hanno creato e imposto un precedente così pericoloso per molti di quei Paesi europei dove ci sono forti sentimenti separatisti? In molti hanno concordato sul fatto che lo scopo principale della diplomazia americana è quello di indebolire politicamente l’Unione europea. L’annessione della Crimea alla Russia non è riconosciuta dalla maggior parte del mondo, neanche alcuni leader di Paesi ex sovietici sono completamente a loro agio su questo tema.
Un altro grande problema è che diversi Stati post-sovietici non hanno cambiato leadership a partire dalla loro indipendenza, come Islom Karimov in Uzbekistan e Nursultan Nazarbaev in Kazakistan. Tutti questi avevano in origine mandati a termine, ma attraverso decreti o referendum prolungarono la loro permanenza in carica, una pratica seguita anche dal presidente della Bielorussia, Aleksandr Lukašenko: quest’ultimo elogiato nel 2009 dall’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Askar Akaev del Kirghizistan ha, in modo simile, svolto la carica di Presidente a partire dall’indipendenza della nazione fino alle dimissioni in seguito alla rivoluzione del 2005. Saparmyrat Nyýazow in Turkmenistan, ha governato dall’indipendenza fino alla morte nel 2006, creando un culto della personalità intorno a se stesso.
Il problema della successione dinastica è stato un altro elemento che ha affetto le politiche di alcuni Stati post-sovietici, come ad esempio con Ilham Aliyev, presidente dell’Azerbaigian dopo la morte del padre Heydar Aliyev. I cinque Stati dell’Asia centrale sono più o meno allineati con Mosca, ma i livelli di integrazione sono diversi. Il Kazakistan e il Kirghizistan si sono già uniti all’Unione euroasiatica, mentre il Tagikistan seguirà con grande probabilità, gli altri due. Mentre Uzbekistan e Turkmenistan seguono un po’ gli umori dei loro regnanti autocratici, Islam Karimov e Gurbanguly Berdymukhammedov, i rapporti con Unione Europea e Stati Uniti sono stati sempre altalenanti. In realtà le repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale più che un duello tra Russia e Occidente sono il teatro anche delle azioni del terzo attore nella regione, cioè la Cina.
Gran parte dei conflitti militari verificatisi negli Stati post-sovietici hanno avuto a che fare con desideri separatisti dei territori con differenti caratteristiche etniche o religiose. In Cecenia, dove i separatisti hanno cercato l’indipendenza dalla Russia, il conflitto si è spinto anche nei territori del Dagestan e dell’Inguscezia. La Cecenia è stata coinvolta in due guerre, causate dai desideri delle forze separatiste di rendersi indipendenti dalla Russia, dove, il conflitto, continua ancora oggi. Attualmente, la posizione ufficiale della Cecenia è di Repubblica facente parte della Federazione Russa anche se allo stesso tempo esiste un governo separatista auto-proclamato, non riconosciuto da alcuno Stato.
La Transnistria, di fatto indipendente dalla Moldavia, è oggetto d’interesse tra Russia e UE in quanto è praticamente divisa tra forze europeiste e filorusse. La piccola Repubblica non è mai uscita dal tunnel postcomunista ed è il Paese più povero d’Europa.
L’instabilità interna è permanente e negli ultimi due anni sono aumentate le frizioni in concomitanza con la rivoluzione ucraina. Il quadro in Moldavia, che con altre repubbliche ex sovietiche come Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia e Ucraina, fa parte, dal 2009, del programma europeo di Partenariato orientale, è peggiorato. La Transnistria è uno di quei tasselli traballanti del mosaico postsovietico dove i conflitti congelati rischiano prima o poi di riesplodere. Se Tiraspol è fedele al Cremlino, Chisinau è ancora strattonata tra Mosca e Bruxelles. Il tema dell’avvicinamento all’Ue è ancora ampiamente dibattuto e in Gagauzia, regione autonoma nel Sud-Est, le tendenze separatiste e filorusse sono aumentate da quando lo scorso anno un referendum, condannato da Chisinau, ha sancito che il 98% della popolazione locale vuole rapporti più stretti con Mosca e che, allo stesso tempo, si oppone all’Ue.
L’ Abcasia e l’Ossezia del Sud, di fatto indipendenti dalla Georgia, non sono tuttavia riconosciuti da nessun altro Paese del mondo. Il Nagorno-Karabakh, di fatto indipendente dall’Azerbaigian e la Repubblica Autonoma Talysh-Mughan, hanno cercato di ottenere una maggiore autonomia. Dal 1994 queste quattro regioni hanno effettuato accordi di mutua assistenza.
Oggi, invece, la nuova strategia della tensione della Russia non si distacca da quella dell’ex Urss. Infatti dopo la piccola invasione in Georgia, ci sono state provocazioni militari di ampia scala nei cieli dei Paesi Baltici, violando lo spazio aereo di Estonia e Lituania con almeno venti velivoli dell’esercito di Mosca. Le recenti violazioni dello spazio aereo dei due Paesi sono gli ultimi atti di una lunga serie che, dall’annessione militare della Crimea da parte della Russia nel Marzo del 2014, ha visto aerei e navi dell’esercito russo sconfinare, a più riprese, non solo nei cieli e nelle acque territoriali dei Paesi Baltici, ma anche in quelli di altri membri della NATO, come Finlandia, Svezia, Norvegia, Gran Bretagna, Danimarca, Polonia e Romania. Queste violazioni sono state accompagnate da atteggiamenti palesemente provocatori come sconfinamenti in zona NATO e il posizionamento di elementi balistici verso i Paesi dell’Unione Europea. La Russia ha anche riavviato una consistente attività militare nello spazio ex-sovietico con l’occupazione, in Georgia, di una porzione della regione georgiana dell’Ossezia Meridionale in cui transita l’oleodotto Baku-Supsa.
Quello che oggi bisogna riconoscere è che la Russia, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, non è affatto finita, né militarmente né, soprattutto, economicamente. Bisogna, per la credibilità dell’Ue, uscire dall’ottica statunitense e crearsi un’ottica geopolitica propria, oltre che risolvere i problemi economici causati, non solo dall’euro, ma anche dalle sanzioni contro la Russia.