L’ onere della prova gravante in capo al ricorrente in relazione alla richiesta di somme a titolo di lavoro dipendente.
Recentemente, con sentenza n. 1032 resa in data 24 luglio 2014 in un articolato giudizio in cui il ricorrente proponeva una molteplicità di domande contro il convenuto, il Tribunale di Velletri ha statuito come, a fronte della contestazione in ordine alla qualificazione giuridica del rapporto in termini di subordinazione, sarebbe stato preciso onere del ricorrente fornire elementi concreti da cui desumere in maniera univoca che l’attività lavorativa descritta in ricorso fosse stata effettivamente resa, con il vincolo della subordinazione, alle dipendenze della convenuta e provare, così, i fatti posti a fondamento della sua domanda, secondo il principio generale stabilito dall’art. 2697 c.c., anche per le ricadute sul piano previdenziale, amministrativo e penale della mancata denuncia di un rapporto di lavoro subordinato e delle relative omissioni contributive, le quali, ultime, integrano specificamente il reato di cui all’art. 2, comma i bis, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito in legge il novembre 1983, n. 638 — come modificato dall’art. 1 del D. Lgs. n. 211/1994 — punito, tra l’altro, con la reclusione fino a tre anni. Invero, premesso che può dirsi principio acquisito al sistema ordinamentale quello per cui ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato, che di rapporto di lavoro autonomo, in base al contenuto del suo concreto atteggiarsi, la domanda azionata nel ricorso non può essere accolta se non sia stata rigorosamente provata, ovvero se residua il dubbio sulle concrete modalità di svolgimento del rapporto eventualmente accertato, a prescindere dal fatto che la parte resistente abbia a propria volta dimostrato la fondatezza della propria tesi difensiva (cfr., in termini, Cass. n. 2728 del 8 febbraio 2010). Infatti, la nozione di subordinazione, come enucleata dagli interpreti a seguito di un travagliato iter interpretativo, è ricostruibile ex post soltanto alla luce di alcuni elementi sintomatici, tra cui, soprattutto, assume natura caratterizzante l’assoggettamento del prestatore di lavoro al potere direttivo del datore di lavoro, che si traduce nella presenza di un potere gerarchico, organizzativo e disciplinare, da cui evincerne l’etero-determinazione; a ciò fanno da corollario altri indici presuntivi, quali la collaborazione, l’assenza di rischio, la natura dell’oggetto della prestazione, la continuità di essa, la forma della retribuzione e l’osservanza di un orario, che possono avere una portata sussidiaria ai fini della prova della subordinazione e possono essere decisivi solo se valutati globalmente e non singolarmente (cfr., per tutte, Cass. 20 luglio 2003, n. 9900, Cass. e Cass. 19 maggio 2000, n. 6570).
L’art. 2094 c.c. ha, infatti, introdotto la nozione di subordinazione, identificandola nella collaborazione del prestatore di lavoro alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.
Il concetto di “dipendenza” e “direzione” indica che è l’imprenditore a determinare il momento costitutivo del rapporto e che ne può modificare le modalità di esecuzione, in quanto la prestazione lavorativa deve essere idonea a soddisfare un proprio interesse.
In astratto, la distinzione tra il rapporto di lavoro subordinato e il contratto d’opera di cui all’art. 2222 c.c. appare netta, laddove quest’ultima tipologia contrattuale individua il contenuto dell’obbligazione di lavoro del prestatore nel compimento di una determinata opera o servizio, senza alcun vincolo di subordinazione.
La distinzione, tuttavia, diviene ben più complessa in presenza di rapporti di lavoro che si pongono al confine tra autonomia e subordinazione, i quali, pur possedendo alcuni elementi tipici della subordinazione, rimangono autonomi.
È il caso, per esempio, delle collaborazioni continuative e coordinate, ovvero del lavoro a progetto, dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro dell’associato, del rapporto del socio d’opera nelle società di persone, del rapporto di lavoro del socio di cooperativa di produzione e lavoro, ecc..
Il contratto di lavoro subordinato si caratterizza, infatti, per l’esistenza del potere unilaterale del datore di lavoro di indicare al lavoratore, di volta in volta, le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, al fine di conformarla alle proprie esigenze.
In sostanza, il criterio essenziale individuato dalla giurisprudenza per distinguere il lavoro subordinato da quello autonomo consiste nella sottoposizione del lavoratore al potere direttivo della controparte e cioè verificare se l’attività di lavoro sia “eterodiretta”, essendo il prestatore di lavoro obbligato a conformarsi alle indicazioni che, in qualsiasi momento, il datore di lavoro ha facoltà di manifestare in merito alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa ed essendo costante mente volta tale attività a realizzare il fine produttivo che il datore di lavoro individua.