Bandiera cubana sventola a Washington

Bandiera Cubana sventola a Washington. Purtroppo non è l’esito di una lunga campagna di conquista del continente americano da parte dell’isola di Cuba, ma solo il segno tangibile della riapertura dell’ambasciata cubana nella capitale statunitense.

Dopo ben 54 anni, infatti, tornano a intercorrere relazioni diplomatiche ufficiali tra i due Paesi, segno che il disgelo cominciato nel mese di dicembre con lo storico annuncio di Barack Obama e Raul Castro procede verso più miti e piacevoli temperature. Lo scorso 20 luglio si è tenuta a Washington la cerimonia ufficiale per la riapertura dell’ambasciata cubana, con la partecipazione del ministro degli esteri cubano, Bruno Rodriguez, il quale, dopo un ringraziamento a Fidel Castro, ha portato i saluti del fratello Raul e sottolineato senza remore la necessità che gli Stati Uniti si impegnino nella rimozione dell’embargo, vero nodo delle trattative, e nella smobilitazione di Guantanamo, passaggi imprescindibili per dimostrare che da parte americana ci sia davvero la volontà di rispettare la sovranità di Cuba.

Da parte repubblicana, a vedere tutti questi cubani vicino la Casa Bianca, è partita qualche bordata verso Barack Obama. Primo fuciliere indiscusso si è classificato Marco Rubio, figlio di immigrati cubani e candidato alle primarie del partito Repubblicano per le presidenziali del 2016, il quale senza mezzi termini ha definito il 20 luglio come il giorno della capitolazione di Obama di fronte a Iran e Cuba. Evidentemente sparava con l’otturatore abbassato.

A Cuba nel frattempo, si è assistito senza pompa magna alla riapertura dell’ambasciata di Washington a l’Avana, che sarà guidata dal precedente incaricato d’affari ad interim della “sezione di interessi” Jeffrey De Laurentis. Ma la data più attesa, dopo che un ministro degli esteri cubano è tornato a calpestare il suolo americano (non succedeva dal 59’), è la visita del Segretario di Stato Americano John Kerry a Cuba, fissata per il 14 agosto (il primo a recarsi nell’isola dopo il 1945).

Nonostante gli evidenti passi avanti tanti ancora sono i nodi da sciogliere: oltre alle già citate misure necessarie da parte degli Stati Uniti, il governo americano chiede a Cuba il rispetto dei diritti umani e pendono ancora la questione delle compensazioni per le proprietà americane confiscate dopo la rivoluzione cubana nel 1959 e il ritorno in patria di diversi fuggitivi americani che sono riparati a Cuba nel corso di questi decenni.

Ma sottotraccia c’è l’impressione che Washington stia strategicamente giocando le sue carte al tavolo degli equilibri geopolitici mondiali, continuando contraddittoriamente ad aprire a l’Avana ma a chiudere a Caracas, a venire incontro alle pretese nucleari iraniane, a stemperare le uscite di testa del Fondo Monetario Internazionale. Forse sente il fiato sul collo dei BRICS – e in quest’ottica Cuba è forse un investimento migliore del Venezuela per Washington? – e non ha capito ancora se il poker che questi sembrano avere in mano con l’annuncio della Banca di Sviluppo sia solo un bluff.

E un’ultima cosa, tanto per fare i criticoni visti gli eventi degli ultimi mesi: quando si invoca il rispetto dei diritti umani forse sarebbe il caso di mandare una circolare ai propri corpi di polizia per ricordare che anche i neri sono umani, e non vanno sparati alla prima occasione; altrimenti poi sembra che solo noi occidentali abbiamo il diritto di non rispettare i diritti umani.

@aurelio_lentini

EL EXILIO CUBANO PROTESTA CONTRA LAS "INFAMES CONCESIONES" DE OBAMA A CASTRO