Noi e Belzebù
Quelli che come me hanno votato la prima volta nel 1994, sono nati sotto Andreotti. Era l’ultimo Andreotti quello del CAF, prima c’era stato l’Andreotti del sequestro Moro e degli anni di piombo, quello della Guerra Fredda e dei patti atlantici, quello che faceva da braccio destro a De Gasperi e prima ancora il giovane Padre Costituente. Andreotti c’era sempre stato ed era il diavolo, Belzebù, come lo ebbe a definire uno che di puzza di zolfo se ne intendeva. La postura da Nosferatu, l’ambiguità delle battute, il disincanto ostentato, la straordinaria longevità politica e le lunghe ombre proiettate sui gangli del paese, ne mitizzavano l’aurea mefistofelica e, come Satana Immortale, sembrava destinato a durare per sempre. Andreotti era il potere, il suo corpo fisico coincideva col dominio democristiano, letteralmente lo incarnava.
Anche lo schivo potere Andreottiano nutriva il proprio mito, ma non nel modo rozzo e spavaldo dei duci e dei sovrani, piuttosto quello sottile e opaco dei Rasputin e dei Richelieu. Andreotti era il potere e il potere in Italia era corrotto, viscoso, clientelare, burocratico, bigotto, compromesso, colpevole e sfuggente. Lo odiammo in molti, quel potere.
Più del caso Sindona, della P2 e della prescritta condanna per mafia fino al 1980, quello di cui forse il potere Andreottiano avrebbe dovuto rispondere è ancora oggi il j’accuse di Pasolini: la richiesta di verità sulle stragi e sulla strategia della tensione. Da Portella della Ginestra (1947) fino alla Stazione di Bologna (1980) e oltre, se non le stragi stesse, di certo tutti gli insabbiamenti e i depistaggi furono di Stato e videro i Servizi ostacolare sistematicamente la giustizia italiana. I Servizi rispondevano al Governo Democristiano: Andreotti fu sette volte Presidente del Consiglio, innumerevoli volte ministro e dimorò sempre, per più di quarant’anni, nelle stanze decisionali del paese. Oltre la verità giudiziaria e quella storica, possiamo accusare quel potere perlomeno di omissione riguardo alla ricerca della verità sulle stragi. Anche senza indagare le sospette ragioni di tali omissioni, quel sangue italiano macchia di rosso l’epitaffio di un’intera classe dirigente.
Anche un cattivo epitaffio tuttavia non può tacere sull’eccezionalità dell’uomo che si rivelò comunque più capace, scaltro, preparato, elegante, serio e colto, di chi gli è succeduto. Ha contribuito a scrivere una bella Costituzione e a ricostruire un paese, ha saputo confrontarsi coi grandi della terra, ha gestito con sangue freddo uno scenario geopolitico con implicazioni termonucleari. Inoltre per tutta la sua carriera politica, anche nelle scelte peggiori, lui personalmente non diede mai l’impressione di agire per soldi. Per potere sì, ma non per soldi. Noi siamo nati sotto Andreotti e abbiamo vissuto sotto Berlusconi. Intorno al 1994, il primo anno in cui molti di noi hanno votato, Andreotti usciva di scena insieme alla Prima Repubblica. Prima di quell’anno avevamo temuto di morire democristiani, col senno di poi sarebbe stata una fine comunque più dignitosa.
di Daniele Trovato