Tutto Crocetta: i fatti, il punto, le certezze e il bavaglio alle intercettazioni

Il mistero sulla presunta intercettazione che ha coinvolto il Governatore della Sicilia Rosario Crocetta continua. La palla passa in mano alla procura di Palermo che ha iscritto al registro degli indagati i due giornalisti dell’Espresso Piero Messina e Maurizio Zoppi per «pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico».

I fatti: «Lucia Borsellino va fatta fuori come il padre» queste le parole incriminate, pronunciate nel 2013 da Matteo Tutino, primario di Chirurgia plastica in una conversazione con il Presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta. Rivelate a distanza di due anni dal settimanale l’Espresso, l’inchiesta si è rivelata il “caso” dell’estate. Nel mirino le procure, il Governatore e lo stesso settimanale che continua a difendere la veridicità di quelle informazioni. La vicenda intreccia in un groviglio di nodi una sanità siciliana ingestibile e l’opportunità di un Governo della Regione che non difende il suo assessore alla Sanità, Lucia Borsellino, né in pubblico né in privato. Il giornale, come esso stesso afferma, inizia a lavorare al caso verso la fine del 2013, nel maggio 2014 (precisa in una nota) «uno degli investigatori fa ascoltare ai cronisti Piero Messina e Maurizio Zoppi il brano di un audio, presentandolo come la dichiarazione di Tutino al governatore Rosario Crocetta» e precisando che «in quel momento, l’esistenza di intercettazioni era ancora segreta e parlarne avrebbe compromesso l’esito delle indagini», (ndr quelle a carico del Tutino oggi arrestato per truffa, peculato, abuso d’ufficio e falso). Il giornale va avanti ripercorrendo passo passo il lavoro dei due cronisti e ribadendo che «altri giornalisti nell’isola hanno sentito parlare di una registrazione di quel tenore. Ne scrive “la Sicilia” di Catania, senza ricevere smentita» nonché come i due cronisti abbiano cercato altri riscontri prima di procedere alla pubblicazione «da fonti diverse di differenti ambienti investigativi, a cui fanno esplicitamente presente la volontà del giornale di non danneggiare le indagini in corso». Il 17 luglio L’Espresso va in stampa e con esso le parole del medico al Governatore, segue l’autosospensione di quest’ultimo accompagnata da un coro d’indignazione che attraversa tutti i partiti politici compreso il PD dello stesso Crocetta il quale invocherà poi elezioni anticipate al più presto. Spenti gli ardori, iniziano i dubbi sulla veridicità delle informazioni pubblicate. Il dibattito verte attorno al j’accuse nei confronti dell’Espresso e le teorie al martirio verso un Crocetta vittima dell’anonimo Bruto autore del suo assassinio politico. In parallelo i disclaimers delle procure da Messina a Catania, sino a Caltanissetta e Palermo dove il procuratore Francesco Lo Voi dichiarerà: «Agli atti dell’ufficio, e in particolare nell’ambito del procedimento n* 7399/2013/21, non risulta trascritta alcuna telefonata del tenore di quella pubblicata dalla stampa tra il governatore Crocetta e il dottor Matteo Tutino» ma L’Espresso continuerà a tenere aggiungendo che: «La conversazione intercettata tra il presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta e il primario Matteo Tutino risale al 2013 e fa parte dei fascicoli secretati di uno dei tre filoni di indegine in corso sull’ospedale di Villa Sofia a Palermo».

Il punto: La vicenda, ora in mano alla procura di Palermo, presenta una serie di interrogativi per lo più rispetto ai riscontri giudiziari delle intercettazioni, in merito si è mossa anche la Corte di Cassazione ipotizzando eventuali sanzioni disciplinari per i magistrati coinvolti. Crocetta a dispetto non molla lo scranno siciliano mentre il suo avvocato fa sapere al settimanale di volere procedere per un risarcimento di 10 milioni di euro. Oggi, i due giornalisti sono stati iscritti al registro degli indagati mentre tutt’intorno diversi organi di stampa hanno avanzato dubbi sull’autenticità della fonte giornalistica, nonchè della frase incriminata la quale di primo acchito, secondo alcuni, ometterebbe l’inciso «come suo padre» in tal caso escludendo l’intenzione di un’eliminazione fisica della Borsellino.

Le certezze: Ad ogni modo, certo è che Tutino è colui che amava definirsi «l’uomo del presidente» poi scopertosi al centro del malaffare siciliano. Certo è che Lucia Borsellino si è dimessa da assessore alla Sanità sottolineando in una lettera allo stesso Crocetta i motivi «etici» e «morali» che l’hanno indotta a compiere questo passo, lettera nota solo dopo l’inchiesta del settimanale. Certo è che lo stesso Manfredi Borsellino, durante la commemorazione per la strage di via d’Amelio, ha ribadito il clima di ostilità che ruotava attorno alla sorella durante il mandato d’assessore:  «Ha portato la croce, le hanno fatto vivere lo stesso calvario di mio padre». Certo è che il silenzio di Crocetta è chiaramente un silenzio recidivo; recidivo rispetto ai giochi di potere che animano la sanità in Sicilia; recidivo nel non supportare il proprio assessore nel tentativo di un rinnovamento; recidivo nel non aver saputo, potuto, voluto dare davvero nuovo lancio alla Sicilia e ai siciliani. Questo è certo con o senza intercettazioni. Altra e ultima visibile certezza è che questa vicenda, come quella che ha coinvolto il Premier Matteo Renzi, sul suo presunto “golpe” ai danni di Enrico Letta, riaccende i riflettori sulla necessità di apporre un giro di vite alla diffusione di intercettazioni. A questo proposito è già in cantiere, con insolita celerità, il ddl penale in merito. La nuova normativa prevede una vaga delega al Governo per «una revisione della disciplina delle intercettazioni telefoniche o telematiche» volta garantire maggior tutela a quei terzi solo casualmente intercettati. Particolarmente discusso è poi l’emendamento Pagano in base a cui «chiunque diffonda, al fine di recare danno alla reputazione o all’immagine altrui, riprese o registrazioni di conversazioni svolte in sua presenza e fraudolentemente effettuate, è punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni. La punibilità è esclusa quando le riprese costituiscono prova nell’ambito di un procedimento dinnanzi all’autorità giudiziaria o siano utilizzate nell’ambito di esercizio del diritto di difesa». Vengono in mente i servizi delle Iene, Striscia la notizia, le intercettazioni Lupi-Incalza sul Rolex al figlio Luca, le risate tra Vendola e il patron dell’Ilva di Taranto o quelle post-strage dopo il terremoto aquilano. Tentativo di proteggere la propria reputazione politica mascherato da un millantato diritto alla privacy che il cittadino non ha mai chiesto, nè sentito il bisogno di salvaguardare. L’ennesima legge a tutela di un garantismo dai tratti ormai più simile alla lesa maestà.

@FedericaGubinel