Usa 2016: Donald Trump allo sbaraglio
Dimenticate la rivoluzionaria campagna elettorale di Barak Obama del 2008. La battaglia per elezioni presidenziali del prossimo anno promette di essere ancora più “innovativa”. Il merito – anche se non si può proprio parlare di merito – è dell’outsider Donald Trump, in corsa per le primarie del Partito Repubblicano e per la poltrona di presidente degli Stati Uniti d’America.
Chi non conosce Donald Trump? Ricco, famoso, snob, fiero possessore di un impero immobiliare da 9 miliardi di dollari (e di un altrettanto fieramente ostentato riporto), Trump è il self made man per eccellenza, il simbolo vincente del sogno americano. Da un mese a questa parte, però, Trump è anche il dodicesimo candidato ufficiale alle Presidenziali del 2016 tra i repubblicani: dopo anni di tentennamenti, infatti, il magnate ha deciso di buttarsi in politica per risollevare le sorti degli Stati Uniti rovinati da quella «cheerleader» di Obama. «L’America non vince più» e ha bisogno di un vincente per ripartire. E il vincente è lui, ça va sans dire. Per convincere gli americani di essere il leader del futuro, Trump ha deciso di non usare mezze misure. Bene o male, purché se ne parli: ecco, in sintesi, la sua campagna elettorale.
L’importante è stare in prima pagina, sempre. Addio alle regole, addio al politically correct, addio ai tabù secolari di Washington. Mister Apprentice è un fiume in piena non risparmia nessuno, tra stoccate agli avversari e prese di posizione estreme che fanno tremare i suoi compagni di partito, preoccupati che nella corsa alla Sala Ovale Trump travolga l’intero Grand Old Party. Chi sperava che con la candidatura ufficiale moderasse i toni si sbagliava di grosso. La bagarre elettorale, anzi, sembra averlo rinvigorito. Il retweet al vetriolo pubblicato (da un collaboratore, sembrerebbe) in aprile contro Hillary Clinton («Se Hillary Clinton non riesce a soddisfare il marito, che cosa le fa pensare di poter soddisfare l’America?») è ormai una delle tante affermazioni inopportune in una lunga lista di scivoloni.
Durante il discorso in cui annunciava la sua “discesa in campo”, aveva attaccato Obama su tutti i fronti, non ultimo quello dell’immigrazione: «Il Messico ci manda fiumi di persone piene di problemi». Quali fossero questi “problemi” lo ha spiegato più chiaramente qualche giorno dopo, nella sua prima uscita da candidato ufficiale: «Gli immigranti dal Messico sono spacciatori, criminali e stupratori. Tranne qualche eccezione». Più chiaro di così. Il gruppo Nbc Universal e il canale Univision hanno interrotto ogni rapporto commerciale, in tanti – latinoamericani e non – chiedono un boicottaggio delle aziende del magnate, ma lui parla di «affermazioni corrette» e va dritto per la sua strada. Non lo ha fermato neanche il richiamo dei vertici del partito, preoccupato che le affermazioni xenofobe di uno dei candidati si ripercuotano su tutti i repubblicani. Dopo la chiamata del presidente della Commissione Nazionale del partito, Reince Priebus, infatti, Trump non si è calmato, anzi. Da Hillary Clinton, «il peggiore segretario di Stato della Storia» che «ha molto da nascondere», al governatore del Texas Perry che «prima di partecipare al prossimo dibattito televisivo fra i candidati, dovrebbe sottoporsi ad un test dell’intelligenza» a Jeb Bush, Trump sembra averne per tutti. Il 17 luglio l’Huffington Post Usa ha deciso di cancellare le notizie sulla campagna elettorale trumpiana dalla sezione politica, relegandole in quella dello spettacolo:«La ragione è semplice. La campagna di Trump è un evento secondario. Non abboccheremo all’esca. Se siete interessati a ciò che Donald ha da dire, potrete trovare le notizie accanto alle storie delle Kardashian o di Bachelorette». Lui, in tutta risposta, ha deciso di attaccare uno dei più grandi tabù americani: i veterani. Dopo aver ricordato che McCain è stato prigioniero di guerra in Vietnam nel ’67, e dunque un eroe «perché è stato catturato», Trump ha aggiunto un commento tanto laconico quanto velenoso: «Il fatto però è che a me piacciono le persone che non sono state catturate. E lui è stato fatto prigioniero». Apriti cielo.
Razzista, sessista, inopportuno: lui non chiede scusa, non guarda in faccia a nulla e a nessuno e macina consensi. Sì, perché sembra che le uscite improbabili e le polemiche, più che frenare la sua corsa, lo spingano dritto all’obiettivo. Mentre su Instagram spopola @trumpyourcat, il tutorial che insegna come pettinare il tuo gattino come Trump, e al magnate piovono addosso critiche bipartisan, lui risale nei sondaggi. Economist, Usa Today e Fox News lo piazzano in testa alla classifica dei pretendenti repubblicani alla Casa Bianca, con uno scarto sul secondo (che per alcuni è Jed Bush, per altri Scott Walker) che varia dai 3 agli 11 punti percentuali. Trump, però, ha scavalcato Bush anche nella media dei sondaggi di Real Clear Politics: con due punti percentuali di vantaggio, Trump sarebbe il candidato numero uno. Un risultato notevole, considerando che nella media di due giorni prima era ancora secondo, con mezzo punto di scarto. Resta solo da vedere se riuscirà a mantenere il consenso e se le sue sparate gli attireranno ancora i favori dei cittadini o se, come l’Huffington Post, anche gli elettori lo derubricheranno rapidamente a macchietta dello spettacolo. Il 6 agosto Fox News ospiterà il primo confronto televisivo tra i candidati repubblicani. Se i presupposti sono questi, c’è da scommettere che ne vedremo delle belle.