Primavera di sangue a Baghdad
La primavera Irachena è contrassegnata dalla più grande ondata di violenza dal 2008: secondo l’UNAMI, la Missione delle Nazioni Unite in l’Iraq, nel solo mese di Aprile 2013 si sono contati oltre 400 morti e 1,633 feriti per atti di terrorismo e di violenza. La gran parte delle vittime viene annoverata tra i civili.
A dieci anni di distanza dall’intervento Americano, non sembrano scemare la lotta per il potere e i dissidi religiosi tra sunniti, che per secoli hanno dominato nella regione, e sciiti, che attualmente detengono la maggioranza in Parlamento e che hanno conquistato anche la maggioranza dei seggi provinciali a seguito delle prime elezioni dopo il ritiro delle truppe Statunitensi.
Nel 2009 il Presidente Obama, nell’annunciare l’abbandono del suolo Iracheno da parte delle forze armate Americane, sosteneva che una soluzione di lungo termine in Iraq dovesse essere politica, e non militare, e che le decisioni sul futuro del Paese dovessero essere prese dagli Iracheni. La strategia degli Stati Uniti, di concerto con il popolo Iracheno, prevedeva uno Stato “sovrano, stabile e indipendente“. Per raggiungere quell’obiettivo il governo di Washington avrebbe promosso un governo rappresentativo e che non fornisse alcun supporto al terrorismo, consapevole che il futuro dell’Iraq non è separabile dal futuro del Medio Oriente. Secondo le parole del Presidente Obama, l’America aveva inviato le proprie truppe per liberare l’Iraq dal regime di Saddam Hussein e per favorire l’insediamento di un governo sovrano.
Ad oggi, tuttavia, l’Iraq rimane un Paese profondamente pervaso dalla corruzione e vittima di un sistema giudiziario inadeguato: le Nazioni Unite hanno condannato il crescente ricorso alla pena di morte e l’Alto Commissario per i Diritti Umani Navi Pillay ha sottolineato come i numerosi arresti siano basati su confessioni ottenute sotto tortura. Il Governo ha rivendicato di giustiziare esclusivamente individui che hanno commesso atti terroristici o crimini contro civili, ma il Commissario ha obiettato che la legge Irachena fa uso di una nozione troppo vaga ed onnicomprensiva di “atto terroristico“, ed auspicato una moratoria come quella già approvata in Kurdistan.
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki – moon ha sollecitato gli Iracheni al dialogo per superare la “profonda crisi politica” che attraversa il Paese, ed espresso la propria preoccupazione sia per l’impennata di violenze delle ultime settimane che per i tentativi di censura, ricordando come la libertà di stampa sia un pilastro fondamentale della democrazia. Mentre gli scontri e l’instabilità politica avvicinano Baghdad, “Sede della Pace”, al conflitto civile.
Versione inglese – English Version