Filosofavole sospese tra l’uomo e il destino dell’universo

Del libro di Daniele Trovato “Filosofavole” (edizioni Smasher) rimangono impresse due cose, tra molte altre comunque degne di nota: l’inadeguatezza razionale a cui si viene sottoposti con lo scorrere delle pagine e delle storie e l’assoluto diletto stilistico con cui è narrata ogni singola avventura. Il tutto però non deve essere semplificato in una narcisistica declinazione di stampo letterario, ma andrebbe (almeno a mio avviso) interpretato come un vero e proprio sintomo di una ricerca più profonda, di una volontà di sorprendere e deliziare che ricorda (con le dovute proporzioni) i primi vagiti che portarono al decadentismo d’annunziano. Piacere che diventa morbosità, nomenclatura dei vizi e delle virtù che ci contraddistinguono tutti: l’invidia, la prevaricazione, la sapienza, la sessualità, lo stakanovismo e la subordinazione al lavoro, la cultura dimenticata, il progresso generazionale e sociale… nessuno dei protagonisti è messo lì per caso. Nessuno è frutto di una flebile notte d’ispirazione davanti una tastiera. Ogni dettaglio, ogni ruga o colore della pelle, ogni sprazzo di umana compassione o astiosa retrattilità è minuziosamente studiata per raccontarci qualcosa che vada oltre la semplice consequenzialità degli eventi.

Il primo racconto (Valpurga), che riempie oltre la metà delle pagine della raccolta, ricorda da subito l’eclettismo fantascientifico dei lungometraggi di Tim Burton. Un’avventura infantile che muove i primi passi da una soffitta polverosa e si spinge fino ai confini della realtà. Vampiri, mostri e stregoni danzano intorno alle innocenze della pubertà, alzando di tanto in tanto la posta in gioco sui sogni di crescita e sviluppo (mentale, prima ancora che fisico).Copertina-Filosofavole

Se volessimo continuare su parallelismi tra cinema e letteratura, allora H+ e La macchina ci apparirebbero come figli della visione Cameroniana del rapporto tra uomo e tecnologia, già vista in Terminator e sperimentata in Avatar. Daniele non critica apertamente la tecnologia, non tira fendenti contro il progresso, ma lascia che i due mondi si attirino spontaneamente verso un’ormai conclamata interdipendenza, arrivando ad una morbosa sovrapposizione tra i due mondi. Non siamo più i creatori e gli utilizzatori della tecnologia, ma diventiamo anche noi prodotto della stessa, capace di rielaborare anche il nostro più intimo e (finora) imprescrutabile segreto: il codice genetico che ci differenzia. Tutte le nostre magnifiche imperfezioni diventano trascurabili errori di calcolo, nello sviluppo di una specie umana dedita ad un solo scopo, che sia esso militare o produttivo. La sfida dell’autore è presto chiara: spingere il lettore a confutare ogni tesi di inevitabile epilogo verso il quale ci stiamo dirigendo. Neanche il tempo di leggere le ultime righe del racconto dai cui ha preso forma la copertina del libro (disegno di Daniele Batocchioni) che eccomi sprofondare in una desolante sala d’attesa di un’aeroporto qualunque, circondato da gente in compulsivo sovradosaggio di touch screen e ischemie lavorative: almeno per quanto mi riguarda la sfida è persa. L’autore aveva ragione.

Narciso e La Creatura invece, pubblicati forse volontariamente uno dopo l’altro, rappresentano l’alfa e l’omega della sessualità, nonché della morale umana. Gli antipodi del richiamo affettivo, che si palesa nella più innocente dolcezza dinanzi a un neonato, miracolo esemplare del mistero che chiamiamo vita, e scade inesorabilmente nella caduca passione di una notte col cuore in affitto. Il cerchio dei vizi e delle virtù umane si completa con la leggenda di Parmenio, e delle avventure nel mondo di Skroto. Le assonanze guiderebbero al senso anche i lettori più naive, portandoli ad osare di più con la perspicacia nell’incipit finale. Nel mezzo la prova tangibile che di filosofia si può “filosofeggiare”, meta-riflettendo sulla stessa esistenza e su tutto ciò che ci circonda.

La riflessione che si sviluppa dopo aver chiuso il libro però è di quelle che non ti aspetti, e che non riesci a contenere in un flusso ordinato di concetti. Alienazione? Sgomento? Perplessità? Lo ammetto: il primo istinto è quello di prendere il libro e lanciarlo via lontano, quasi ad evitare ustioni o contagio. Una sensazione di inadeguatezza e disilluse aspettative ti pervade, come per un finale di un film diverso da come speravi, o un appuntamento andato male. Lo guardi torvo, quasi a volertene sbarazzare per sempre. Poi però ci passi vicino, lo sfiori quasi come per ristabilire un contatto, per convincerti che dopotutto quella lettura ti ha comunque arricchito, perché in cuor tuo sai che è così. Lo senti. Senti riecheggiare i passi di Vera tra i bui corridoi di Valpurga, i respiri profondi e affannati dell’operaio dentro la macchina, scorgi il tuo lato narcisistico passando davanti uno specchio, ti soffermi su una recente notizia di bio-etica e nuove frontiere della genetica… filosofavole ti ha frastornato. E non so se sia un bene. Partito senza pretese, ti aveva assicurato che non ci sarebbe stato nient’altro che candida interazione tra coscienza e ironia. Amatoriale diletto letterario. Si è quasi finto stupido nei suoi castelli di polvere e nelle bambole parlanti. Ma intanto era lì a scavarti un tunnel nella testa, in cui prima o poi sarebbe entrata la luce, mostrando il mondo per quello che è. O per quello che sembra all’autore. E’ come un moderno mito della caverna: sai che non è la realtà ma una rappresentazione di essa, eppure ti sembra così aderente al tuo mondo che quasi te ne convinci. E ti lasci cullare da questa infausta disillusione di cui il libro è impregnato. Nessuna morale, nessuna predeterministica visuale o sentenza. Solo un lento e dolce cullare tra le pieghe di un mondo che ci va stretto. Filosofavoleggiando, così da far meno male.