2015: un primo semestre segnato dagli attentati per l’Europa
L’estate è alle porte, ma il clima che si respira è tutt’altro che spensierato. Lo scorso venerdì, mentre l’America festeggiava il sì della Corte Suprema degli Stati Uniti ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, all’Europa è stato inflitto un grave colpo, anzi due: a distanza di poche ore sia la Francia che la Tunisia hanno subito un attentato firmato Isis. (vedi qui)
Media in subbuglio, numero di vittime e feriti che aumenta di ora in ora e innumerevoli dichiarazioni di solidarietà sono ormai la routine che segue ogni tragedia: peccato che all’indomani nulla cambi concretamente, tantomeno le politiche in materia di sicurezza.
Vivere nel terrore e cambiare le proprie abitudini significa fare il gioco dei terroristi, ma comportarsi come se ogni attacco non influenzasse la vita di ogni singolo cittadino europeo è uno sbaglio.
Anche se la maggior parte degli attentati viene reclamata da unità che dichiarano di agire in nome della Jihad, la guerra santa, la verità è che si tratta per lo più di cellule indipendenti le cui azioni terroristiche non vengono né organizzate né “autorizzate” da un ente centrale. Tale modello organizzativo rende la questione ancora più preoccupante: è quasi impossibile prevedere chi e dove agirà.
Gli attentati. L’attentato che ha più di tutti reso evidente quanto la guerra in corso consista in uno scontro religioso è quello che ha colpito il periodico satirico Charlie Hebdo, in Francia. Il 7 gennaio due uomini si sono introdotti nella redazione e hanno sparato sullo staff urlando «Dio è grande» in arabo. Le vittime sono state dodici in tutto e undici i feriti. L’attentato è stato rivendicato da una branca yemenita di Al Qaeda. Il giorno seguente un uomo armato di mitra ha sparato contro la polizia uccidendo una poliziotta, per poi nascondersi in un supermercato prendendo in ostaggio delle persone per reclamare la liberazione dei fratelli Kouachi, responsabili della strage del giorno precedente, a loro volta chiusi in una tipografia. Alla fine della vicenda tutti e tre gli uomini sono rimasti vittime degli scontri, ma solo dopo che due ostaggi di religione ebraica erano già stati uccisi.
A seguito della strage, l’hashtag veicolato sui social #jesuischarlie sembrava aver unito la popolazione mondiale nella consapevolezza che come oggi la Francia, domani qualsiasi altro Paese può divenire un obiettivo allettante. Il risultato è che la Francia, Paese dal passato coloniale, da sempre contraddistintosi per il melting pot della propria popolazione, oggi ha chiuso le frontiere e paventa l’ipotesi di un Presidente di estrema destra.
Il 18 marzo è la volta del museo del Bardo, il più antico del mondo arabo e dell’Africa, a Tunisi. I due terroristi avevano tentato di entrare nel Parlamento tunisino, in cui era in corso un’audizione sulla legge anti-terrorismo ma, non riuscendovi, hanno deciso di scagliarsi su un pullman di turisti, per poi rinchiudersi dentro un museo. L’attentato è stato rivendicato dallo Stato islamico e i due uomini sono rimasti uccisi durante il blitz delle teste di cuoio tunisine. Nonostante i due attentatori non siano fortunatamente riusciti a espugnare il Parlamento, è stato comunque messo in crisi un cardine dell’economia tunisina: il turismo. Non a caso, anche l’attentato del 26 giugno ha, ancora una volta, i turisti come bersaglio.
Tra il 14 e il 15 febbraio, Copenaghen è stata vittima di due attacchi. Nel pomeriggio un uomo ha aperto il fuoco in un locale in cui era in corso un convegno intitolato “Arte, blasfemia e libertà di espressione”, in ricordo della strage di Charlie: un morto e tre agenti feriti. Dopo la mezzanotte, una seconda sparatoria, questa volta presso la sinagoga grande di Copenaghen, in cui sono rimasti feriti due poliziotti e un ragazzo che poi è morto. Autore di entrambe le tragedie Omar Abdel Hamid El-Hussein, uscito di prigione solo due settimane prima dell’accaduto.
Politiche di sicurezza Ue. L’Unione europea ha il dovere di garantire libertà e, allo stesso tempo, sicurezza ai propri cittadini. Pertanto, le stesse minacce terroristiche richiedono una risposta unitaria poiché, come affermato dal presidente della Commissione europea Juncker: «La lotta contro la criminalità transfrontaliera e il terrorismo è una responsabilità europea comune».
È stato annunciato il piano per impedire l’arruolamento online, da sempre tra le risorse primarie per il reclutamento di fedeli.
Rob Wainwright, direttore dell’Ufficio di polizia europea, ha affermato: «Il nostro obiettivo non è solo la rimozione di contenuti online dell’Isis, ma puntiamo a smantellare la strategia di reclutamenti su web, cercando di individuare i leader».
A tale proposito, la Commissione ha adottato un’agenda per coordinare gli Stati membri in materia così da affrontare al meglio le minacce più urgenti previste per il periodo 2015-2020 e basata principalmente su due tipo di azione: interventi tempestivi e azioni preventive.
Per quanto riguarda l’Italia nello specifico, Roberta Pinotti, il ministro della Difesa, rassicura: «In questi mesi abbiamo sempre tenuto l’allerta alta, anche l’Italia potrebbe essere oggetto di questi attentati, non abbiamo mai pensato di essere immuni da questo rischio, ma non abbiamo elementi oggi per dire che l’Italia sia più a rischio di altri Paesi europei, lo siamo come gli altri paesi».
Twitter: @MariaLauraSerpi