Non esistono barriere per i testimoni di speranza
Trentotto anni fa Angelo e Brunetta erano in un ospedale. Angelo era un giovane infermiere ventottenne con la passione per la pittura, Brunetta aspettava di morire in un letto. Angelo aveva un lavoro sicuro e una lunga vita tranquilla davanti, Brunetta una diagnosi di sclerosi a placche arrivata dopo un’operazione andata male per asportare un tumore al cervello inesistente e 20 anni di malattia sulle spalle. Angelo stava per finire il suo turno di lavoro e tornare a casa dai genitori, Brunetta i genitori li aveva persi a due anni, sotto le bombe. Trentotto anni fa due vite si sono unite in quell’ospedale e ieri sono salite sul palco della sesta serata della Festa della Solidarietà per raccontare la loro incredibile storia. Il matrimonio un anno dopo il loro incontro, la disapprovazione delle famiglie, i primi tempi passati come ospiti nell’abitazione di un prete operaio in attesa di una casa, la battaglia legale per l’abbattimento delle barriere architettoniche una volta ottenutane una, al primo piano di un palazzo senza ascensore. Trentotto anni in cui Brunetta ha ricominciato a muovere le mani, a mangiare da sola, a interagire con il mondo, mentre Angelo ha abbandonato il suo lavoro di infermiere perché “non aveva senso accudire altri malati e passare le giornate separati, mentre lei era a casa affidata alle cure di estranei”.
Anni di una vita insieme lontano dagli ospedali, in cui Brunetta non ha più rimesso piede perché una vera cura per la sua malattia non c’era e tutto ciò di cui aveva ad ha bisogno le viene dato dal marito. La tentazione di prendere quelle “pillole per morire” è ormai un ricordo lontanissimo dei quasi vent’anni passati come “ragazza sola e senza speranza”, dal momento dei primi sintomi – alla vigilia degli esami della maturità – a quello dell’incontro con Angelo. Lui ha fatto della pittura la sua professione, lei si muove su una sedia a rotelle, la vista è offuscata da ombre e parla con non poche difficoltà, ma è viva ed è felice di esserlo. La lotta quotidiana contro uno Stato che è presente con aiuti minimi e insufficienti è solo l’ennesima prova di una forza che, precisano ad ogni occasione, l’amore e la fede hanno saputo dar loro.
Con questo racconto i coniugi Scarpa hanno aperto il primo dibattito della serata conclusiva della Festa della Solidarietà di Piazza San Giovanni, dedicato proprio ai “Testimoni di speranza” e moderato da Gianluca Gaeta, direttore responsabile di Lineadiretta24.it. Accanto a loro, sul palco, Felice Tagliaferri e il suo meraviglioso cane che aspetta paziente che il padrona finisca. Tagliaferri è uno scultore di fama ormai internazionale cresciuto senza l’abilità della vista ma con quella di modellare la materia secondo le forme che essa ha nella sua mente. Il suo pensiero è diretto e incredibilmente facile da assimilare: la scultura è un modo per “dar forma alle immagini che uno ha dentro e mostrarle agli altri”. E allora poco importa se queste immagini nascono dalla vista di qualcosa di esterno o dall’animo dell’artista, il risultato sarà comunque il “dare forma ai sogni”, come sancisce lo slogan che Tagliaferri ha voluto assegnare alla scuola d’arte plastica da lui guidata, la “Chiesa dell’Arte”, prima al mondo ad essere diretta da uno scultore non vedente. La domanda che corre sul palco e che lo stesso artista, forse provocatoriamente, pone a tutti coloro che lo stanno ascoltato è: “Voi conoscete una persona totalmente abile?”, e continua aggiungendo: “Se la vostra risposta è sì, statele lontano! Perché ogni essere umano ha delle disabilità ma la forza sta nel capire quali sono le abilità e puntare su quelle”. Inevitabile l’appello per l’abolizione delle barriere architettoniche che però, chiarisce Tagliaferri, sono meno pericolose e difficili da superare di quelle che sono nella testa degli uomini.
La terza testimonianza è affidata alle parole della dott.ssa Marina M. Smargiassi, responsabile dell’indirizzo terapeutico della Comunità Maieusis, centro per la terapia residenziale intensiva di persone affette da disturbi psichici. Un luogo per aiutare coloro che vengono colpiti da malattie spesso non comprese da chi è attorno e che rischiano di portare all’isolamento e all’emarginazione. Un percorso di cura e riabilitazione finalizzato al recupero delle abilità perdute con la malattia.
Brunetta e Angelo, Felice, i ragazzi della Maieusis: testimoni di difficoltà superate, di una costante ma vincente battaglia contro la malattia, di amore, fede e passioni che danno forza. O, più semplicemente, testimoni di speranza.
Twitter: @Ludovica_Lops