Expo 2015: chi ha detto no
«A Expo ci sarà il mondo ». Quante volte lo abbiamo sentito ripetere negli ultimi mesi? Uno slogan senza dubbio efficace, certo, ma non del tutto veritiero. Sì, perché non sono pochi i Paesi che hanno deciso di non partecipare all’Esposizione Universale di Milano.
Ci avevano promesso un giro del mondo in 110 ettari e, in effetti, una passeggiata lungo il Decumano ha il sapore di un piccolo tour ai quattro angoli del globo. Dalla rete del Brasile ai kandura degli Emirati Arabi Uniti, dalle perline colorate dell’Ecuador al bianchissmo Palazzo Italia, dal bosco dell’Austria allo scintillante Kazakistan, dal legno del Giappone ai fiori della Cina, dal giardino francese alle tapas spagnole sembra che tutto il mondo si sia dato appuntamento nella periferia di Rho. A guardare bene, però, l’esposizione che vanta il record assoluto per numero di Padiglioni nazionali proprio universale non é. I Paesi presenti sono centoquarantaquattro, di cui cinquantatré con un proprio Padiglione. All’appello mancano quindi quasi cinquanta Stati, che per motivi diversi hanno deciso di non investire soldi, tempo ed energie – ma soprattutto soldi – nell’Esposizione targata Milano, rifiutando anche di ritagliarsi uno spazio in uno dei nove cluster tematici, che hanno permesso di accorciare drasticamente la lista degli assenti. I Paesi del ricco Nord Europa si sono chiamati fuori in blocco: Norvegia, Finlandia e Svezia hanno deciso di non partecipare, ufficialmente per motivi economici, secondo alcuni commentatori per snobismo. La Svezia é stata tra i primi a declinare, sostenendo di non aver trovato alcun privato disposto a sborsare gli undici milioni di euro necessari. Anche l’Olanda é stata in forse fino all’ultimo, ancora scottata dal fallimento dell’Expo di Hannover del 2000, ma alla fine – spinta, sembra, dalle pressioni commerciali dei privati – ha messo in piedi il luna park che attrae migliaia di visitatori, in coda per pancakes e patatine. L’elenco delle defezioni, però, é lungo e non conosce latitudini. I costi – ingenti – della partecipazione sarebbero alla base del no anche di diversi membri del Commonwealth tra cui l’Australia – a eccezione dello Stato del Victoria, presente con un evento promozionale –, il Canada – che pure aveva manifestato l’intenzione di candidarsi per ospitare questa edizione sfidando Milano – e il Sudafrica. A dire no a causa delle limitazioni budgetarie é stato anche il Portogallo, assente dall’Expo per la seconda volta, ma non ci sono solo motivazioni economiche alla base delle defezioni più o meno illustri. Il Lussemburgo, ad esempio, non figura tra i partecipanti perché impossibilitato a dire la sua sul tema dell’esposizione, “Nutrire il Pianeta, Energia per la vita”. In questo Paese di 2.500 chilometri quadrati che ospita poco più di 250mila persone, infatti, l’agricoltura rappresenta solo l’1% del PIL.
E se non stupisce che non siano presenti quei Paesi funestati da crisi e guerre – é il caso della Libia, della Siria e dell’Ucraina, ma anche del Mali e della Repubblica Centrafricana – c’é un’assenza che risulta particolarmente ingombrante. Tra le bandiere che non vedremo sventolare all’Expo, infatti, c’é quella dell’India, in rotta con l’Italia per la questione Marò. La partecipazione di New Delhi era stata inizialmente prevista – l’India aveva riservato un lotto che doveva essere destinato alla costruzione di un proprio padiglione – ma tutto si é risolto con un nulla di fatto. Il motivo ufficiale é che l’India non ha inviato entro i tempi stabiliti il progetto per il Padiglione. A pesare, però sembra essere stato soprattutto il Marò-gate e la crisi diplomatica irrisolta tra i due Paesi. Del resto, con la vicenda dei due fucilieri di Marina ancora in stallo, le pressioni della destra italiana perché la barbara nazione che tiene in ostaggio i due (ora uno) marò accusati di aver ucciso due pescatori indiani venisse estromessa dall’Expo si sono fatte sempre più forti. Il fronte anti-India, con in testa le sezioni lombarde di Fratelli d’Italia e Forza Italia, ha spinto per mesi per il boicottaggio, ma a tirarsi indietro é stata la stessa India. Una mancanza che, visto il tema dell’esposizione, si fa sentire. E non basta che, a guardare bene, sia possibile trovare un po’ di India tra i cancelli di Expo. Più che l’onor, infatti, poté il denaro, come dimostrano i floridi e mai interrotti rapporti commerciali tra il nostro Paese e New Delhi. Grazie “alle forti pressioni che numerosi produttori indiani hanno fatto sul governo di Nuova Delhi per non mancare all’appuntamento”, nel cluster del riso, sotto le mentite spoglie del “Basmati Pavilion” progettato dall’indiana Amity University, trova spazio la promozione dell’artigianato indiano e dell’ufficio turistico dell’“Incredible India”. Un po’ poco per il secondo Paese più popoloso al mondo, protagonista della Rivoluzione Verde, che deve nutrire un miliardo e duecento milioni di persone e fronteggiare la piaga endemica della malnutrizione, che colpisce ancora il 43% dei bambini sotto i tre anni.