Viaggio nella Roma della solidarietà: il centro d’accoglienza Baobab
C’è Andrea, volontario di vecchia data. C’è Emanuela, capelli biondi legati a cipolla, giovane ed energica alle prese col magazzino del cibo. C’è Lorenzo, barba incolta e sigaretta accesa, alle prime armi e al centro d’accoglienza da una settimana. Poi c’è Francesca, non particolarmente alta, gonnellina nera e una laurea in Farmacia presa da poco. Sono solo alcuni dei 150 volontari che ogni giorno si alternano nel centro d’accoglienza autogestito di via Cupa numero 5, quartiere Tiburtino-San Lorenzo, a poche centinaia di metri dall’ Università La Sapienza e soprattutto dalla Stazione Tiburtina, dove da qualche settimana sorge la tendopoli della Croce rossa italiana.
Dal baobab, o adansonia, un albero di origine africana, prende il nome il centro nato da un’occupazione nel 2004. Allora c’era la giunta Veltroni “una delle poche che è stata molto collaborativa” secondo le parole di Andrea, uno dei volontari. Negli anni è sempre stato un centro di accoglienza d’eccellenza per i tanti migranti di passaggio o stanziati nella Capitale, si organizzavano cene etniche e serate a tema, gestite direttamente dai rifugiati, realizzando alcuni progetti di integrazione. Poi è arrivata l’emergenza di questi ultimi mesi e il centro è diventato un punto cruciale di passaggio per migliaia di profughi diretti verso il Nord Europa. La capienza del dormitorio è di circa 150 persone, ma al momento all’interno ne vivono più di 400, circa tre volte la capienza massima. La quasi totalità dei presenti viene dal Corno d’Africa: Eritrea, Etiopia, Somalia e anche dalla Libia (si noti che sono le quattro ex colonie italiane), sono tutti rifugiati politici, ma non vogliono essere identificati per non dover richiedere il diritto d’asilo in Italia (secondo il Trattato di Dublino sarebbero poi costretti a rimanerci). Hanno percorso per mesi migliaia di chilometri, “dal Corno d’Africa a Khartum in Sudan, attraversando a piedi il deserto, poi sono saliti sul pick-up di quei banditi, mafiosi e sono arrivati in Libia. Stanno due mesi in Libia a prendere bastonate che già è tanto se bevono un po’ d’acqua zozza. Quando arrivano qua non gli sembra vero, hanno i segni e le cicatrici dei pestaggi che hanno subito, delle bastonate, le donne sono state violentate. I nostri sorrisi non gli sembrano veri”. Come ci spiegano comunque i volontari del centro, sono tutti migranti di passaggio, arrivano a Tiburtina, stanno due, massimo tre giorni, all’interno del Baobab, gli viene dato un ‘kit di partenza’ costituito da generi alimentari e disinfettante e poi partono alla volta di Milano. Da lì le direzioni sono due: Verona, verso il Brennero e poi la Germania e la Svezia, oppure Ventimiglia e la frontiera con la Francia.
“Restare in Italia? Se ne guardano bene”, mi spiega Patrizia al telefono, una delle responsabili del centro, con più anni di volontariato alle spalle. Ed è questo il motivo per cui parecchi rifugiati preferiscono il Baobab rispetto alla tendopoli della Croce rossa: oltre che per il rapporto più “umano” e per l’atmosfera più “familiare”che si ha in via Cupa, dove i migranti sono direttamente impegnati nell’autogestione del centro, i rifugiati temono che in un campo gestito dall’esercito possa avvenire l’identificazione. E allora ecco che parecchi si aggiungono al momento del convivio. Ogni giorno vengono serviti tre pasti a circa 700 persone – ci informano i volontari – prima entrano le donne e i bambini, poi ordinatamente entrano gli uomini. Vicino la mensa ci sono i magazzini e una cucina dove i volontari (italiani e non) preparano da mangiare. Continuando si scorge uno spazio adibito ai giochi dei bambini e una piccola infermeria, con un medico volontario e con Francesca, la farmacista che abbiamo conosciuto, impegnata a confortare un malato di scabbia. La scabbia è una delle patologie più presenti fra i migranti che arrivano al Baobab e sul territorio italiano in generale, ma Francesca stessa ci spiega quanto non sia giustificato l’allarmismo di questi giorni soprattutto al Nord Italia: “La scabbia c’è pure in Italia. Per il contagio c’è bisogno dello scambio dei vestiti o di un contatto prolungato. Poi non parliamo della tubercolosi, la scabbia è facilmente curabile con una pomata antibiotica”.
Tutto il centro è mandato avanti con le libere donazioni dei cittadini del quartiere e del resto della città. Abbiamo visto arrivare macchine piene di vestiti, ma anche pensionati e studenti con una bustina con qualche pacco di pasta, per quel poco che possono permettersi. Anche l’Ikea ha promesso a breve una piccola donazione di mobili, come mi spiega Emanuela.
Tanto che quando chiedo quale sia stata la risposta del quartiere Tiburtino e della popolazione locale, i volontari sorprendentemente non hanno dubbi: “Ma te la posso dire una cosa? La gente è eccezionale! È vero l ’altro giorno hanno fatto anche qui fuori la manifestazione contro il degrado, ma se tu vedessi quante sono le persone italiane che ci portano cose e si sono offerte di aiutarci. Veramente gente meravigliosa. Vedi, oggi – continua Patrizia – mi ha intervistato la televisione messicana e passa il discorso che noi italiani siamo ‘brutti e cattivi’. Io l’ho trovato sconvolgente e allora ho fatto parlare questa televisione messicana con tutti i soggetti che ci venivano a portar pacchi. Io non penso che gli italiani siano cattivi. Mal governati, ma non cattivi. Io faccio sempre pulire intorno al Baobab perché penso che gli abitanti del quartiere non amino stare in mezzo alla sporcizia. Io non me la sento di accusare il quartiere se rispondesse negativamente, perchè chi ce l’ha sotto casa e vede che dormono per strada qualche problema ce l’ha. Ci fosse un centro d’accoglienza più grande, una cosa più strutturata, i cittadini sarebbero meno indignati. Io come cittadina sono indignata per l’assenza di queste strutture predisposte a questo problema. Se fossero accolti in maniera più decente, senza tanta gente che non si sa dove metterla, i cittadini sarebbero meno arrabbiati. Che l’Italia sia un ponte sul Mediterraneo si sa, l’abbiamo sfruttato per secoli come risorsa, facciamo che sia una risorsa per tutti. Come ha detto Papa Francesco, costruiamo ponti!”.
Un ringraziamento per la collaborazione agli amici Barbara Bannetta e Lorenzo Scalabrini e a tutti i volontari del Baobab per la disponibilità.