Napolitano, Amato e il futuro degli altri
Al termine della lunga e sanguinosa battaglia parlamentare, arriva il cannone del Gianicolo a salutare l’elezione del Presidente della Repubblica: spara ventuno colpi, tutti a salve. Lo stesso Presidente di ottantotto anni che si era detto stanco del proprio scranno e ansioso di lasciare l’incombenza al proprio successore, alla fine succede a se stesso, traguardando un settennato che lo vedrà in sella fino a novantacinque anni. Novantacinque anni.
Ancora Giorgio Napolitano, per il quale arrivare a ottantotto anni da Presidente Emerito, lucido e in buona salute, sarebbe già stato un traguardo invidiabile: nessuno avrebbe dovuto chiedergli di salvare alcunché, tantomeno questo paese da se stesso. Napolitano che nel discorso di giuramento si commuove più volte e fustiga i partiti ammonendoli aspramente, interrotto in entrambi i casi dagli applausi scroscianti di quegli stessi partiti. Napolitano è stato lo stratega dell’operazione Monti, fallita miseramente, schiacciata dai dati economici disastrosi, dalla disoccupazione e dalla conseguente catastrofe elettorale di Scelta Civica e dei partiti che l’hanno sostenuta: l’uno ha perso 6 milioni di voti l’altro 3. Quello dei tecnici era già un Governo del Presidente, di questo stesso Presidente, e non ha funzionato. Forse non toccava a lui dare le carte a questo giro.
Se la virtù della terza età è la saggezza, il suo vizio è l’incapacità di cambiare idea e di assumere su di sé i rischi dell’innovazione: Napolitano infatti ci ripropone un governo di larghe intese, probabilmente imbottito di tecnici e sintonizzato sugli obbiettivi minimi dell’Agenda Monti, sostenuto dalle stesse tre forze politiche clamorosamente bocciate alle urne. Il nome “nuovo” è quello di Giuliano Amato, settantacinque anni, protagonista della prima Repubblica quando i governi del CAF gonfiavano il debito pubblico di cui ancora paghiamo il conto. In seguito, Amato inaugurava la seconda Repubblica prelevando di notte il denaro nei conti correnti, nel disperato tentativo di tappare i buchi che il suo PSI aveva contribuito a creare. Amato oggi con più di trentamila euro di pensione al mese è il simbolo dei privilegi della politica eppure, con un candore che fa più pena che rabbia, nega nelle interviste di sentirsi parte della casta.
Vede Presidente, con tutto il rispetto, questo non è esattamente il genere di referenze che rendono popolare un candidato Premier agli occhi dei cittadini. Si fidi. Soltanto negli ultimi cinquanta giorni abbiamo visto la rimonta di Berlusconi, l’ennesimo suicidio politico (seriale) del PD, Grillo che convoca la rivoluzione davanti a Montecitorio e poi non si presenta: ci risparmi almeno Giuliano Amato. A settantacinque anni, in qualunque altro mestiere si è in pensione da due lustri, soltanto in politica si riesce a tornare sulla cresta spacciandosi per una personalità terza e di alto profilo. E poi, detto tra italiani, se la smettessimo una buona volta di affidare la progettazione del futuro a gente che in quel futuro non ci sarà?
di Daniele Trovato