Quante sono le guerre nel mondo? Troppe
Siria, Ucraina, Iraq… Quante sono le guerre nel mondo? Quattro? Cinque? Dieci al massimo? Sbagliato. Nel 2014 gli “higly violent conflicts” sono stati quarantasei, tra cui venti guerre e ventisei “limited wars”. Questi numeri, però, non sono che la punta di un iceberg di violenza globale: nello stesso periodo, infatti, il numero dei conflitti nel mondo è salito a 424. Quattrocentoventiquattro.
I numeri – che parlano da soli – sono stati diffusi in marzo dall’Heidelberg Institute for International Conflicts Research, che dal 1991 stila ogni anno il «Conflict Barometer», uno studio che rivela i conflitti in corso a livello globale, classificandoli secondo la loro intensità. Dalle dispute non violente alle vere e proprie guerre, nel ritratto che emerge dallo studio la mappa del pianeta si colora delle tinte fosche che mostrano le zone belligeranti. Europa, Asia, Americhe, Medio Oriente. Non c’è zona del pianeta che non sia interessata da conflitti, il cui numero è sensibilmente più alto di quello dei Paesi riconosciuti: in molti Stati, infatti, i fronti di guerra sono più di uno, spesso di diversa intensità. Ideologia e risorse sembrano essere le motivazioni più comuni, ma si combatte – con o senza violenza aperta – per potere (nazionale o internazionale), territorio, secessioni, motivi legati alla decolonizzazione o alla richiesta di autonomia. Il triste primato per il maggior numero di conflitti va all’Asia e Oceania (con 127 focolai di diversa intensità), ma la situazione più grave si registra in Africa. Qui, nel 2014 il Conflict Barometer ha registrato 18 conflitti ad alta intensità, 46 di media intensità e 40 di bassa intensità. Secondo il sito guerrenelmondo.it, aggiornato quotidianamente, in questo momento dei cinquantaquattro Stati africani ben ventisette risultano interessati da ostilità, mentre sono oltre 180 le milizie-guerrigliere, i gruppi separatisti e i gruppi anarchici coinvolti. Di questi conflitti – a eccezione di quelli che interessano il Maghreb, geograficamente più vicino e rilevante, e di qualche sporadica notizia sui media – conosciamo poco, o nulla. Eppure molti dei conflitti che dilaniano la Nigeria, il Mali, il Darfur, la Somalia e la Repubblica Democraticadel Congo si protraggono da anni e sono ormai costati la vita a centinaia di migliaia di persone.
Questi sono i conflitti che Medici Senza Frontiere definisce «le crisi umanitarie “invisibili”, le crisi che rimangono nell’ombra, tranne che in un racconto in dieci anni, oppure quelle che nella rappresentazione mediatica non esistono affatto […]. Le ragioni possono essere molteplici, dalla cronicità della crisi, dunque poco notiziabile, alla lontananza, dalla non conoscenza del contesto, alla “banale assuefazione”». Sono conflitti che non fanno notizia, che non trovano spazio su giornali e tg: secondo uno studio dell’associazione, in dieci anni (dal 2004 al 2014) i telegiornali italiani – la principale fonte di informazione di otto cittadini su dieci – hanno dedicato in totale 1596 servizi ai conflitti che si svolgono in territorio africano, pari al 7% della copertura totale della voce “guerre e terrorismo”. Lo Stato di cui si è parlato di più è la Nigeria, che ancora oggi spunta abbastanza spesso tra le pagine dei giornali e sui tg (anche se in misura minore) in relazione alle stragi compiute dai miliziani dei Boko Haram. Il conflitto permanente che «da oltre vent’anni infiamma» la Repubblica Democratica del Congo , ha ricevuto molta meno attenzione: i servizi sono stati poco meno di cinquanta in dieci anni, e le telecamere dei telegiornali sono state puntate sul Paese principalmente in occasione del blocco delle adozioni che ha interessato numerose famiglie italiane. C’è un conflitto, però, che è stato completamente dimenticato: è quello della Repubblica Centrafricana. La guerra in questo territorio poverissimo sperduto nel cuore del continente nero è davvero invisibile,
ma, dall’inizio delle ostilità nel 2012, è già costata la vita ad almeno cinquemila persone, la maggior parte dei quali bambini. Le organizzazioni umanitarie parlano di centinaia di migliaia di profughi e denunciano l’utilizzo massiccio di bambini soldato e alla fine del 2014 si è iniziato a parlare di “genocidio”. Di tutto questo, però, sui nostri schermi non c’è stata traccia.
Certo, le notizie ci sono, per chi sa e vuole andarle a cercare (un esempio è il sito Global Conflict Tracker che fornisce mappe interattive e approfondimenti sui conflitti in corso) ma per la maggior parte dell’opinione pubblica queste guerre, semplicemente, non esistono. Eppure, le guerre vanno avanti anche se noi non le vediamo, non le conosciamo e, in fondo, non sappiamo neanche immaginarle. I morti aumentano anche se non fanno rumore. Ogni volta che sentiamo qualcuno dire, guardando i profughi che arrivano dall’Africa, “tutti a casa!” o “aiutiamoli a casa loro” cerchiamo di ricordarcelo. A casa loro, c’è la guerra.