Mafia Capitale: i segreti di Salvatore Buzzi
E’ il 7 novembre del 2014, c’è una cena importante a cui partecipano persone di spicco. E’ tutto pronto nel Salone delle Tre Fontane di Roma, mentre l’organizzatore della serata controlla che tutto sia in ordine. E’ la cena di raccolta fondi del Partito Democratico, organizzata dal segretario Matteo Renzi e a cui partecipano tanti esponenti della vita politica Pd oltre che numerosi imprenditori. Tra questi ultimi si classifica un uomo, ben vestito, capelli brizzolati e sguardo vispo, nascosto dietro un paio di occhiali dalla montatura moderna. Il giorno prima della cena invia un sms all’onorevole Micaela Campana, la quale gli risponde con le coordinate bancarie del PD. La cena procede tranquillamente, si chiacchiera, si mangia, si fanno battute sul governo e poi si va a casa. 840 adesioni, 441 versamenti. Il giorno seguente l’uomo racconta di essersi divertito ma quella cena gli è costata parecchio, 10mila euro nelle casse del Partito Democratico e 5mila euro alla Open, la fondazione/cassaforte che raccoglie fondi per le iniziative del premier. Il 2 dicembre 2014 scattano i primi arresti dell’operazione “mondo di mezzo” di Mafia Capitale, tra i 44 arresti spicca un uomo,con precedenti penali, e che stavolta con la sua cooperativa ha combinato parecchi guai. Quest’uomo e quello che aveva partecipato alla cena del Pd sono la stessa persona: Salvatore Buzzi.
Facciamo un passo indietro, perchè prima di arrivare al Buzzi che siede al tavolo delle puntate più alte, bisogna tornare al 1980, quando il cadavere di un certo Giovanni Gargano viene trovato semi-bruciato. Buzzi di anni ne ha 25 e lavora presso la Banca d’America e d’Italia, dove ruba gli assegni che Gargano poi va ad incassare ma ad un certo punto il gioco finisce, sono sul punto di scoprirli e lui si tira indietro, scatenando l’ira di Gargano che comincia a ricattarlo. Così in un martedì sera come un altro Buzzi chiama Gargano, i due si incontrano, litigano e Buzzi gli pianta trentaquattro volte il coltello nell’addome, a cui poi seguirà un maldestro tentativo di bruciare e nascondere il cadavere.
Viene condannato a vent’anni di cui ne sconterà solo 6 in carcere, fino a quando il Presidente della Repubblica Scalfaro gli concederà la grazia in quanto “detenuto modello”. Sempre educato, studioso, si laurea anche in carcere, in lettere e filosofia con 110 e lode mentre comincia a pensare alla cooperativa “29 giugno” che di lì a poco fonderà assieme ad altri detenuti. Ed è proprio su questa che bisogna fissare un paletto importante per tentare di afferrare uno dei fili più spinosi nell’intricata matassa di Mafia Capitale. Il 29 giugno 1984 presso il carcere di Rebibbia si tiene una conferenza su “Le misure alternative alla detenzione e ruolo della comunità esterna”. Partecipano tante cariche dello Stato e Salvatore Buzzi pensa bene di fare di questa giornata il simbolo della sua cooperativa che come si legge in un’intervista di Marino Occhipinti, operava “in campo ambientale, quale la realizzazione e la manutenzione di aree verdi, la raccolta di rifiuti e le pulizie industriali”. Gli intrecci con il Comune di Roma furono però lavorati negli anni, nel silenzio delle gare d’appalto e dei favori nascosti. Nel novembre del 2013 in Campidoglio si discute della vendita di alcuni beni immobiliari di proprietà del Comune in particolare di alcuni uffici in zona Pietralata che a detta di Buzzi sarebbero costati “du spicci” grazie all’interessamento di Alessandra Garrone che secondo la procura avrebbe ottenuto una riduzione dell’80% sul valore di vendita di alcuni immobili. Bastava elaborare degli emendamenti ad hoc da presentare in sede di consiglio comunale, con la collaborazione di Dina Paone (collaboratrice dell’ex assessore Daniele Ozzimo). La stessa Dina Paone, in cambio del proprio interessamento, ottenne l’assunzione della figlia come impiegata presso l’Università Roma III, dove la cooperativa 29 Giugno ha svolto attività di manutenzione degli immobili. Questi sconti di cui avrebbe usufruito Buzzi, riguardano anche la sede legale della cooperativa a via Pomona, dove per un immobile di 1000mq si sarebbe pagato di affito di soli 1.200 euro a fronte dei 6.147 inizialmente richiesti. Ma come era possibile per Buzzi ottenere favori e sconti così vantaggiosi?
Che Salvatore Buzzi, avesse l’indole del truffatore quello è sempre stato chiaro sin dall’inizio. Un soggetto come il patron delle coop, dopo varie truffe bancarie ed un efferato omicidio poteva dotarsi soltanto di una personalità a dir poco magnetica per far dimenticare il suo losco passato e indossare i panni del Leader dei detenuti. Una perfetta incarnazione del sogno costituzionale di vedere il carcere come “struttura di rieducazione”. Effettivamente Buzzi era l’esempio che mancava di detenuto rieducato che fonda una cooperativa e regala una possibilità ad altri. Com’è stato possibile che Buzzi maneggiasse una quantità di soldi pubblici direttamente proporzionale al suo profilo criminale? Questo non ci è dato saperlo, ciò che però possiamo raccontare è di come l’amicizia con Massimo Carminati abbia portato nelle tasche del Presidente di 29 giugno più milioni di quanti forse ne immaginiamo davvero. “Ma c’hai idea quanto ce guadagno co gli immigrati? La droga rende meno” così Buzzi dice in un’intercettazione telefonica a Pierina Chiaravalle ( ora ai domiciliari) in riferimento agli affari che la cupola mafiosa di Carminati ( di cui Buzzi era indubbiamente il braccio operativo) si occupava di garantire l’entrata di soldi pubblici per la gestione degli immigrati e richiedenti asilo nelle tasche dei “gestori” affiliati all’organizzazione. Il sistema intricato e altamente proficuo è stato definito dagli avvocati “sistema Odevaine” dal nome di Luca Odevaine, ex vice capo di gabinetto di Walter Veltroni, che siede al Tavolo di coordinamento nazionale al il Ministero dell’Interno, precisamente per il “Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione” oltre che nel Cda “Calatino Terra d’Accoglienza”
Odevaine, era in grado di influenzare le decisioni degli affidamenti degli appalti senza gare nè bandi di concorso, tutti quelli che avevano a disposizione certe strutture venivano subito contattati ed in cambi di tangenti gli venivano affidati un certo numero di immigrati. Era inoltre in grado di deviare l’assegnazione di fondi per rifinanziare la pulizia delle aree verdi, riqualificare il territorio, assistenza ai campi nomadi e tanti altri servizi in cui le cooperative di Buzzi avevano il primato. Un business milionario quello degli immigrati, che in tempi come questi, lascia spazio ad una riflessione che incupisce tutti i cittadini. Durante gli interrogatori lo stesso Buzzi chiede che venga spento il registratore, “sennò cade anche il governo” come se quello che abbiamo ascoltato sino ad ora non fosse abbastanza potente da far tremare tutta l’amministrazione Marino (prossima al commissariamento) e alcune cariche istituzionali tra tutti i centinaia di indagati nell’affare Mafia Capitale.
Quel che però sarebbe anche opportuno sottolineare è il confine così sottile tra crimine e popolarità che vede la personalità di Buzzi avanzare e indietreggiare a seconda degli interlocutori, come accade quando si parla con i lavoratori delle cooperative da lui fondate “Il Presidente è una brava persona, ha sempre creduto in noi e ci ha dato un’opportunità che lo Stato non ci avrebbe mai concesso” queste le parole di alcuni degli ex detenuti a cui la cooperativa 29 giugno dà lavoro e paga gli stipendi, perché è questo la finalità ultima della cooperativa: occuparsi delle categorie protette svantaggiate (detenuti, ex detenuti, disabili fisici e psichici, tossicodipendenti ed ex) e più in generale delle persone appartenenti alle fasce deboli della società (senza fissa dimora, vittime della tratta, immigrati). O almeno queste sono le prime parole che si leggono sotto la voce “Chi siamo” del sito internet della cooperativa, su cui campeggia lo slogan ” Una storia diversa per gente normale, storia comune per gente speciale” frase tratta dalla canzone di Fabrizio De Andrè “Una storia sbagliata” dedicata alla memoria di Pier Paolo Pasolini, che per ironia della sorte è stato ucciso da Pino Pelosi, ora ex detenuto dipendente di 29 giugno. Chissà cosa direbbe Buzzi di questa curiosa casualità…