Al Maxxi la più grande retrospettiva sul fotografo Olivo Barbieri

Nelle ampie sale del Maxxi, il museo delle arti del XXI secolo, dal 29 maggio fino al 15 novembre 2015 sarà possibile ripercorrere il percorso artistico di uno dei più importanti fotografi italiani, Olivo Barbieri. La scelta di esporre i suoi lavori non rappresenta un interesse casuale del museo ma è il risultato di un progetto di «promozione e conoscenza della fotografia contemporanea già avviato con la mostra dedicata a Luigi Ghirri nel 2013, cui è seguito l’omaggio ad un altro maestro della fotografia italiana, Gabriele Basilico».

La grande retrospettiva, la più completa finora in Italia, Olivo Barbieri. Immagini 1978-2014 è stata curata da Francesca Fabiani e presenta una selezione di 100 opere tra fotografie, filmati, cataloghi, in cui viene esaltata la continua attenzione al tema della percezione e a quello dell’interpretazione della realtà. Attraverso i suoi scatti l’artista mette in crisi le consuete modalità di rappresentazione per dare vita a nuove forme di narrazione grazie ad incessanti esperimenti percettivi avvalendosi dei diversi espedienti visivi come l’alterazione coloristica dell’illuminazione artificiale, le sfocature della scena, la sovraesposizione e l’uso dei rendering. È lo stesso autore, nel catalogo della mostra edito da Marsilio, ad affermare quanto segue: «Si tratta di un allenamento al guardare. Fin dall’inizio ho cercato nel mezzo fotografico una sorta di percezione».

Le sette sezioni in cui si articola la mostra sottolineano la complessità e l’ampiezza della ricerca dell’autore emiliano. La prima, Viaggio in Italia (1980-83) esprime la dedizione di Barbieri per le città e i paesaggi della provincia dove l’assenza di ogni intento folkloristico conferma la sua ferma fedeltà al dato visivo universalizzando ogni luogo. Si prosegue con Images (1977-2007) in cui è contemplata l’affascinante serie Flippers (1977-78) che oltre a determinare la prima notorietà di Barbieri, dopo l’invito di Ghirri, viene esposta alla Galleria Civica di Modena. Le immagini sono state catturate all’interno di una fabbrica abbandonata e immortalano le icone della cultura americana del dopoguerra, dalle pin up alla fantascienza fino a cowboy, che diventano «le rovine di quella stessa modernità che cade a pezzi come i suoi miti». Nella sezione Artificial Illuminations (1982-2014), il cielo arancione di Montagnana, vicino Padova, quello blu elettrico di Firenze, fucsia a Singapore, verde smeraldo a Bijing fanno uscire tutto l’estro creativo del maestro. Le scene fantasmagoriche e i colori impossibili e quasi immateriali possono indurre a pensare che ci sia un chiaro lavoro di post-produzione quando invece sono solo il frutto di lunghissime esposizioni della pellicola alla luce artificiale. Nello spazio riservato ai suoi viaggi in oriente India, Tibet, Giappone Cina, quest’ultima che da il titolo alla sezione assurge a simbolo di grande cambiamento sociale e urbanistico senza precedenti. Se in linea con Baudrillard, per Barbieri l’America può essere considerata «la versione autentica della modernità» la Cina diventa «la culla assoluta dello spaesamento e dell’estraneità postmoderna». In Virtual Truths (1996-2002) vengono raccolti i primi esperimenti di “fuoco selettivo”, tecnica che utilizzando lenti particolari consente di mettere a fuoco un sola parte dell’immagine lasciando sfocato tutto il resto. Concludono l’esposizione Site specif (2003-2013) – progetto che lo ha fatto sorvolare a bassa quota oltre 40 città in tutto il mondo – e Parks (2006-2014) una sorta di suo contraltare dove l’autore indaga sul rapporto dell’uomo con la natura.

La fotografia è un racconto e non una restituzione fredda e inerte della realtà; partendo da essa in modi infiniti ogni fotografo finisce per superarla facendosene interprete e testimone. Perché come ci dice lo stesso Barbieri in una frase che condensa la generosità proprio di ogni artista «la fotografia non deve prendere ma lasciare qualcosa in un luogo».

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