L’ Islanda è un Paese per donne

Facciamocene una ragione: ancora non esiste un Paese al mondo in cui uomini e donne siano uguali. Se questa è una triste realtà, però, va detto che ce n’è uno il quale, all’uguaglianza, va molto, molto vicino: è l’ Islanda, il «Paese più femminista al mondo».

manifestazioneL’Islanda ha alle spalle una lunga tradizione di lotte contro le differenze di genere. Senza tornare all’epoca dei vichinghi, basta scorrere l’ultimo secolo e mezzo di storia islandese per comprendere come questa piccola isoletta dell’Atlantico sia diventata il Paese più women-friendly del mondo. Le scelte politiche ed economiche che si sono succedute dal 1850 – quando l’ Islanda è stato il primo Paese a riconoscere l’uguaglianza tra uomini e donne nei diritti di successione – ne hanno fatto l’avanguardia nella lotta alla disuguaglianza di genere e il fiore all’occhiello di un mondo sempre troppo poco incline all’uguaglianza. Se le donne islandesi possono votare già dal 1915 – cinque anni prima di quelle statunitensi e ben trentuno anni prima delle Italiane – e la Costituzione del 1944 all’articolo 65 recita, senza mezzi termini, «Uomini e donne hanno uguali diritti da tutti i punti di vista», sono stati gli anni ’70 e ’80 a segnare la svolta definitiva. Il 24 ottobre 1975 il 90% delle donne del Paese aderì allo sciopero lanciato dal movimento femminista Calze Rosse: lavoratrici, madri, mogli, studentesse e figlie, borghesi e proletarie, tutte (o quasi) le donne d’ Islanda quel giorno si fermarono per chiedere la parità salariale. E la ottennero. Solo l’anno successivo, il Parlamento di Reikiavik varò la legge che equiparava i salari di donne e uomini. L’impegno di tutta la società islandese verso l’uguaglianza fu più che mai chiaro nel 1980, quando Vigdìs Finnbogadòttir, madre single, divenne il primo Presidente donna di tutta la storia, non solo dell’ Islanda ma dell’intera Europa. Otto anni dopo, fu la volta di un nuovo primato: Kvennalistinn (Alleanza delle donne) il primo (e unico) partito femminista d’Europa, conquistò sei dei sessantatré seggi del Parlamento. I primati dell’Islanda, però, non si sono fermati agli anni ’80, e hanno raggiunto proporzioni mondiali: nel 2009, infatti, Jòhanna Sigurdardòttir è stata la prima omosessuale dichiarata al mondo a essere eletta a capo dello Stato e del governo.

global genderQuella dell’ Islanda, però, non è una storia passata, ma un presente fatto di successi. Dal 2006, anno della prima edizione, il Paese è al primo posto del Global Gap Gender Report del World Economic Forum, che individua il livello di disuguaglianza di genere di 142 Paesi basandosi su diversi indicatori – opportunità economiche, opportunità educative, livello di salute e aspettativa di vita, opportunità politiche. L’uguaglianza piena è rappresentata dal punteggio 1, la disuguaglianza totale dallo 0: con il suo 0,8594, l’Islanda non può dirsi completamente egualitaria, ma alla parità tra i sessi si avvicina molto, più di ogni altro Stato. Le donne in Parlamento sono poco più del 43%, nelle università ci sono 1,7 ragazze per ciascun maschio e il welfare è a misura di madri (e padri): lo Stato, infatti, non solo garantisce a entrambi i genitori il congedo parentale – cinque mesi dopo il parto (il video del parto naturale divenuto virale)e tre mesi successivi che la coppia può decidere come gestire – ma copre il 95% della retta per gli asili nido. Non a caso, l’ Islanda ha un livello di crescita naturale e un tasso di fertilità nettamente superiore alla media europea (2,23 figli per coppia nel 2010 contro la media europea di 1,4) e il tasso di occupazione femminile è del 47,6%. Ma a essere a misura di donna sono anche decisioni dal forte impatto – come l’adesione alla campagna #Freethenipple – o destinate a far discutere. Negli ultimi anni, infatti, il Paese ha visto una stretta sul mercato del sesso, con la chiusura degli strip club e lo stop alla pornografia online: «il corpo delle donne», questo il messaggio sotteso, «non è in vendita».

Certo, anche nel Paradiso delle donne non tutto è perfetto come sembra. I problemi ci sonodall’azione ancora insufficiente per arginare la violenza sulle donne alla disparità salariale, un tema che, nonostante la legge del 1976, continua a far discutere. Vedendo i dati dei report, la forza delle rivendicazioni femminili, i successi ottenuti e difesi nell’ultimo secolo, però, l’ Islanda, così isolata, sembra ancora più lontana. Sembra, in fondo, un mondo diverso dal nostro, in cui l’uguaglianza tra uomini e donne è un argomento di cui sembriamo ricordarci solo l’8 marzo, in odore di mimose, o, molto più cinicamente, vagheggiando di quote rosa in odore di elezioni.