Mistero TTIP: il trattato di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti
Transatlantic Trade and Investment Partnership vi dice qualcosa? Forse usando il nome italiano, Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, è più facile? O ancora, con TTIP va meglio? Non si tratta di domande provocatorie o che vogliano mettere in dubbio la preparazione degli italiani sull’attualità, bensì di un invito a cercare di riflettere tutti insieme riguardo ciò che, si dice, possa dare vita al più grande mercato economico mondiale ma di cui, obiettivamente, non si disserta molto.
Un mercato che vedrebbe come protagonisti l’Unione europea e, niente di meno che, gli Stati Uniti, non più unica egemonia in un mondo oramai multipolare ma che, a livello globale, impone ancora la sua massiccia presenza politica ed economica.
Accesso ai mercati, problematiche di regolamentazione e barriere monotariffarie, affrontare congiuntamente sfide e opportunità del commercio internazionale: questi sono i tre pilastri su cui si basa il TTIP, negoziato avviato a luglio del 2013 sui quali tavoli degli incontri, attualmente ci troviamo al nono round, l’UE viene rappresentata dalla Commissione europea e, specificamente, nella persona di Cecilia Malmström, Commissario europeo per il commercio.
Un nono round che però denuncia dei ritardi, come dichiara Tiziana Beghin, eurodeputata del Movimento 5 Stelle: “I negoziati sono al nono round, vanno a rilento per fortuna. È già stato annunciato che non saranno conclusi entro il 2015. Ci sono dei punti difficili…”. Ed è proprio su questi punti difficili che si basa la maggior parte delle notizie, poche, che circolano riguardo il TTIP. Ed è dalla denuncia di questi punti difficili che scaturiscono le principali azioni della società civile la quale, si suppone, da questo Trattato sarebbe quella a rimetterci, sovrastata dagli interessi delle lobby delle multinazionali.
Ma procediamo con ordine cercando di sviscerare, in primis, quelli che sono i presupposti ufficiali sui quali si basa la Partnership Transatlantica e, in secondo luogo, illustrare gli scetticismi che ne derivano.
Accesso ai mercati: “ci si propone di avvicinarsi il più possibile all’abolizione dei dazi commerciali sui prodotti agricoli ed industriali, e di liberalizzare ampiamente i mercati dei servizi, degli investimenti e degli appalti pubblici”.
Problematiche di regolamentazione e barriere monotariffarie: “con il TTIP si intende eliminare le divergenze di regolamentazione, tagliando nettamente gli ostacoli d’ordine burocratico”. Nel campo automobilistico, per esempio, ciò che è considerato sicuro al di là dell’Atlantico, può essere venduto anche in Europa senza bisogno di ulteriori prove o adattamenti.
Affrontare congiuntamente le sfide e le opportunità del commercio internazionale: “entrambe le parti intendono mantenere e promuovere un elevato livello di protezione della proprietà intellettuale e delle indicazioni geografiche, e collaborare in direzione dello sviluppo sostenibile”.
Un trattato di rilevanza storica, che coinvolgerebbe un totale di 820 milioni di cittadini e il 45% del PIL mondiale, secondo i dati del FMI del 2013. Posti di lavoro in aumento, sfruttamento di una parte inutilizzata di mercato, semplificazione di normative, eliminazione di dazi.
Studi favorevoli all’accordo hanno dichiarato che il PIL mondiale aumenterebbe tra lo 0,5 e l’1%, così come quello dei singoli Stati, che si verificherebbe un miglioramento tecnologico e innovativo così come una semplificazione burocratica e una flessibilità negli investimenti.
Una società capitalista cos’altro potrebbe desiderare se non un potenziamento delle possibilità di profitto e guadagno e una semplficazione nell’ottenerli prospettati da un trattato del genere?
Come sempre però, soprattutto in questioni di fondamentale importanza, vanno valutate tutte le facce della medaglia, che molti eurodeputati, soprattutto del Movimento 5 Stelle, ma anche associazioni come Slow Food, Public Citizen e ancora, esponenti rilevanti di organizzazioni come l’ONU e politici come Elizabeth Warren, senatrice del Massachussets, stanno totalmente denunciando.
I punti maggiormente critici che emergono dal TTIP riguardano i rischi per la salute che comporterebbe l’inserimento di cibi provenienti dagli Stati Uniti. Notoriamente molto più permissivi e meno “paranoici” degli europei, italiani in particolare, negli Stati Uniti l’utilizzo di ormoni e di ogm non è soggetto a leggi o divieti e il mancato obbligo di inserire l’etichettatura negli alimenti la fa da padrone: con il TTIP questi cibi potrebbero allora entrare tranquillamente nelle nostre case? L’UE, al riguardo, ci tranquillizza affermando che non si rinuncerà mai al principio di precauzaione, ovvero una strategia di gestione del rischio nei casi in cui si evidenzino indicazioni di effetti negativi sull’ambiente o sulla salute degli esseri umani. Il suddetto principio risulta totalmente assente nella politica statunitense, ma con il TTIP, potrebbe invece esservi inserito. Altri scetticismi fanno riferimento anche al monopolio delle multinazionali, generatrici della maggior parte del PIL, a cui la firma di questo trattato porterebbe: un PIL la cui corsa però, come afferma Serge Latouche, economista francese, produrrebbe un ulteriore divario tra grandi e piccoli e, di conseguenza, un annientamento delle PMI, che rappresentano la maggior parte delle realtà europee.
L’altra questione scottante che sollevano i TTIP scettici è rappresentata dalla clausola Investor to State Dispute Settlement (ISDS). Di cosa si tratta?
Letteralmente con ISDS si intende la risoluzione delle controversie tra investitore e Stato; uno strumento quindi che permetterebbe a investitori stranieri di fare riferimento a corti internazionali nel caso in cui, i primi, vedessero messi a rischio i loro obiettivi dai governi USA e UE e avendo quindi la possibilità, nel caso di ottenere ragione, di farsi risarcire denaro pubblico.
In merito la Commissione europea, considerato l’alto tasso di disaccordo tra l’opinione pubblica, e non solo, nei confronti di una clausola che, si teme, potrebbe dare ulteriore potere a chi, economicamente, già lo detiene a danno dei cittadini, ha presentato, la scorsa settimana, delle modifiche che però continuano a non convincere. Si è proposto, per esempio, di inserire la possibilità di istituire un appello di secondo grado per effettuare ricorsi e di inserire una lista fissa di arbitri internazionali ma, come scrive sul suo sito la campagna Stop TTIP Italia, nata a febbraio 2014 per coordinare organizzazioni, reti, realtà e territori che si oppongono all’approvazione del Trattato: «Il meccanismo di appello potrebbe non vedere mai la luce. La Commissione lo aveva garantito anche nel CETA, così come gli Stati Uniti lo promettevano nel NAFTA. Eppure non è mai stato introdotto. Inoltre un elemento sostanziale di tutta la riflessione è che non serve un arbitrato di tutela per gli investimenti, soprattutto per due Paesi, come Stati Uniti e Unione Europea, che hanno una giurisprudenza ben funzionante e assolutamente in grado di tutelare gli interessi delle imprese, senza per questo indebolire le tutele e i diritti collettivi. Oltretutto nel pieno rispetto dell’equilibrio dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario)».
Per chi conta almeno in parte però, e sicuramente più dell’opinione pubblica purtroppo, questo TTIP deve essere concluso e anche in breve tempo: “Non riuscire a chiudere il Ttip, l’accordo di libero scambio Ue-Usa, entro l’anno, essendoci l’anno prossimo le elezioni Usa, sarebbe un gigantesco autogol per il nostro continente”, sono le parole di Matteo Renzi pronunciate durante la conferenza dello State of the Union dell’UE lo scorso fine settimana a Firenze.
Il vicepresidente della Commissione europea e Commissario per la legislazione e le relazioni interistituzionali Frans Timmermans, nel frattempo, mette i puntini sulle i dichiarando che “Come Commissione non riusciamo a capire perché si sia generato questo malinteso. Anche l’Europa ha una voce molto forte perché si tratta del più grande spazio commerciale al mondo, per questo non ha senso pensare che gli americani decideranno tutto, perché non è così che si svolgono i negoziati”.
Ai potenti l’ardua sentenza, che probabilmente non giungerà prima del 2016. Nel frattempo ci si continuerà ad aggiornare sull’andamento dei negoziati, o meglio, su ciò che ci è dato sapere, considerando che le riunioni ufficiali sul TTIP, come l’ultima dello scorso aprile a New York, avvengono a porte chiuse e molti dei testi non vengono pubblicati per intero, in virtù della riservatezza che deve caratterizzare aspetti specifici delle trattative, sempre secondo chi rappresenta le parti in gioco che contano.