After the end, nel sotterraneo dell’Orologio
Quando Dennis Kelly mise mano ad After the end doveva presumibilmente aver letto Il Signore delle Mosche o aver visto The Hole, un film del 2001 in cui quattro ragazzi rimangono chiusi in un bunker, fino al momento in cui si scopre che uno dei personaggi è al corrente del modo per uscire ma l’ha tenuto nascosto per rimanere vicino al ragazzo che ama e che non la considera.
Storia simile in questo caso. Louise (Valeria Perdonò) e Mark (Alessandro Lussiana) si rifugiano in un bunker in seguito a un attacco terroristico che, temono, abbia portato distruzione ovunque, attendendo di ricevere segnali radio che diano loro il via libera. In questa attesa si consumano 15 giorni di segregazione che mettono duramente alla prova la loro amicizia come il loro autocontrollo. Mark e Louise sono a due poli opposti: lei è nevrotica, umorale, istintiva e per questo infinitamente affascinante; lui è rigido, invidioso, infantile, maldestro tanto nel cercare di nascondere quanto di rivelare il suo interesse.
La scenografia, minimale ma significativa, fa da cornice a questo set del terrore, in cui si assiste a un progressivo abbandono delle forme acquisite di civiltà e convivenza. Come in una sequenza di diapositive, i giorni scorrono mentre i personaggi si privano gradualmente della loro profonda umanità: si svestono, urlano, tentano di uccidersi l’un l’altro, vivono insomma, non più come umani ma come abbrutiti da una crescente bestialità, un meccanismo che non li investe alla pari ma che è il frutto di un gioco di ruoli tra carceriere e carcerato. Così Louise, vittima delle attenzioni patologiche di Mark, viene affamata, incatenata e abusata, fino a perdere il senso della realtà, tanto che, una volta emersi dal sottosuolo e a parti invertite, chiede a Mark: “Ma io, ti sembro io?”.
A seguire questa spirale di episodi, una recitazione che si scompone nell’arco di poco più di un’ora, passando dal tono urbano, diremmo forse affettato, del principio, al ritmo isterico e depresso del finale. Molte parole che lasciano il posto a molta aggressività, tanto fisica quanto verbale. Un testo, per sua natura, accattivante, che ha il merito di aprire un buco della serratura su una camera oscura dove vanno in scena gli istinti primordiali, gli abissi della mente, le umane perversioni.