In 100 mila a Roma contro la riforma Giannini: la parola agli studenti

100 mila, solo a Roma. Un numero da far invidia anche ai ragazzi della “grande onda”, il movimento studentesco che si opponeva alla riforma Gelmini del governo Berlusconi. Tanti altri in tutta Italia, da nord a sud. Milano, Torino, Napoli e Palermo, passando per la Firenze del premier Matteo Renzi. Ieri 5 maggio, da Piazza della Repubblica hanno sfilato in corteo per le vie del centro. Hanno ribadito, strillato, urlato, cantato con tutta la rabbia che solo uno studente può avere il proprio no alla riforma della scuola pubblica “la Buona scuola” presentata alla Camera dal Ministro Giannini e dal Ministro Madia.

Fra quei 100 mila c’era Danilo Lampis, coordinatore nazionale dell’ Unione degli Studenti – Sindacato studentesco, studente fuori sede all’ Università Roma Tre.  Come mi racconta proprio Danilo le motivazioni della mobilitazione studentesca che ha animato il corteo sono diverse: “Innanzitutto c’è una questione di metodo. Il governo non può arrogarsi con una tale straordinaria presunzione il compito di riformare il sistema scolastico in maniera unlitarale, vista anche l’importanza cruciale dell’istruzione pubblica. La posizione è quindi innanzitutto frutto del mancato ascolto delle istanze degli studenti negli ultimi mesi, sul diritto allo studio, l’alternanza scuola lavoro, sul cambiamento del metodo nazionale di valutazione”. Ma le contestazioni degli studenti a questa riforma sono anche nel merito e nella sostanza. Appare chiaro come l’impostazione ideologica della Buona scuola sia il proseguo naturale della precedente Riforma Gelmini, aprendo sempre più lo spazio agli investimenti dei privati, dirottando attraverso un sistema di detrazioni fiscali gli investimenti verso le scuole private e trasformando gli istituti scolastici in pseudo imprese dirette da presidi “school managers”.

I tre pilastri portanti della riforma” li chiamano gli studenti dell’Unione studentesca, i motivi sostanziali verso cui si è infiammata la protesta: “La centralità di un dirigente manager con accentrati poteri decisionali e di indirizzo scolastico. Questo per noi è molto sbagliato perché bisognerebbe far condividere le decisioni anche agli altri componenti della scuola”  una sorta di scuola dal basso, in cui sono innanzitutto gli studenti e i professori a determinare indirizzi e funzionamento scolastico. Il secondo punto o pilastro è l’alternanza scuola lavoro e l’apprendistato come strumento di assolvimento dell’obbligo di istruzione. Pensiamo che innanzitutto vada alzato l’obbligo scolastico a 18 anni e in secondo luogo pensiamo che  l’apprendistato non possa essere dequalificato come lo è oggi e come lo sarà ancor di più con gli effetti del Jobs act. L’apprendistato oggi è un modo per mettere la polvere sotto il tappeto, nascondendo la dispersione scolastica: chi non riesce a studiare prende un contratto di lavoro di apprendistato e questo è inaccettabile.  Gli studenti poi dovrebbero poter prender parte nella scelta dei percorsi scuola-lavoro che oggi invece è lasciata in mano ai privati e alle imprese, le quali piuttosto dovrebbero investire in percorsi di formazione dei lavoratori. L’ingresso dei finanziamenti privati nelle scuole e la devoluzione del 5×1000 legittima le disuguaglianze: il preside manager deve accaparrarsi gli investimenti dei privati per poter sostenere un’offerta formativa degna, pertanto renderà la scuola ‘appetibile’ nel proprio territorio. Rendere la scuola appetibile significa cambiare i programmi per ottenere gli investimenti. Parlando senza retorica, il privato non ha nessun interesse a fare beneficienza ad una scuola”. La posizione degli studenti è chiara anche sul 5×1000: “Esiste già un’elargizione delle famiglie nella scuola pubblica. Si chiama contributo volontario. L’elargizione del 5×1000 alla scuola del proprio figlio accentua le differenze fra scuole frequentate da studenti figli di benestanti e quelle frequentate dagli studenti con più difficoltà economiche. Le scuole più belle diventeranno sempre più belle e le più brutte sempre più brutte”. Il terzo pilastro riguarda le modalità piuttosto antidemocratiche scelte dal Governo per la presentazione della Riforma: “Un meccanismo poco chiaro di deleghe in bianco al governo per le riforme, il problema è anche democratico. La giornata di ieri è stata straordinaria e dopo tanti anni ha dato una lezione di democrazia a questo governo”. Renzi ha detto che la piazza deve essere ascoltata: “Ma le piazze andavano ascoltate molto prima. Se il PD continua a premere sui pilastri della riforma l’unica cosa che potremmo chiedere sarà il blocco del disegno di legge, raccogliendo tutte le istanze di chi la scuola la vive ogni giorno”. Il prossimo appuntamento sarà per il 12 maggio: “Bloccheremo i test invalsi, faremo delle assemblee, scenderemo in piazza e vedremo anche se ci saranno dei cortei”.

L’ultima domanda che faccio a Danilo è su come si vede fra 10 anni e come vede l’Italia fra dieci anni. Se dà speranza a questo Paese e se c’è speranza in questo Paese: “Non lo so realmente che farò fra dieci anni. Se non riusciremo a cambiare nulla avrò un lavoro precario e sottopagato. Se riusciremo a cambiare qualcosa saremo un po’ più autonomi dalle nostre famiglie, invece di essere sballottati fra decine e decine di contratti che sono tutti fatti apposta per succhiare il più possibile il sangue dalle nostre posizioni lavorative, senza darci in cambio nessun riconoscimento, neanche la dignità. O riusciamo a cambiare qualcosa o saremo costretti a riempire i curricula di lavori gratuiti o sottopagati continuando a sognare un lavoro stabile o prendendo in considerazione l’alterativa di andarsene da questo Paese”.

Si va verso l’estate e la sensazione è che se la Buona scuola passerà il clima caldo continuerà anche oltre. Che ci aspetti anche un autunno caldo?