«Giù le zampe!» contro il sessismo dei politici
«Giù le zampe!». È questo il grido di battaglia del J’accuse che quaranta giornaliste francesi hanno pubblicato sulla prima pagina di Libération per denunciare i tanti, troppi casi di sessismo che i politici infliggono loro. Ammiccamenti, sorrisi allusivi, battute a sfondo sessuale spacciate per semplice goliardia sono, stando al documento in questione, all’ordine del giorno alle Quatre-Colonnes, il corrispettivo francese del nostro Transatlantico. È il sessismo il fil rouge che accomuna ministri, consiglieri e deputati i cui atteggiamenti vengono rivelati dalle quaranta giornaliste firmatarie. A metterci la faccia sono Hèléne Bekmezian (le Monde), LenaïgBredoux (Mediapart), Laure Bretton (Libération), Déborah Claude (AFP) e tante altre colleghe che hanno preferito conservare l’anonimato «perché non c’è bisogno di aggiungere discriminazione a condizioni di lavoro già delicate».
A giudicare dal quadro tratteggiato pare che un certo malcostume già venuto alla luce nel nostro Paese abbia fatto scuola. Le croniste raccontano una serie di episodi decisamente espliciti: c’è il parlamentare che non si trattiene nel dire all’intervistatrice che al dolcevita che indossava quel giorno avrebbe preferito una bella scollatura, c’è il giovane politico rampante che organizza incontri fuori dai luoghi e dagli orari di lavoro, c’è il ministro che in conferenza stampa, dunque pubblicamente, si rivolge alle giornaliste donne chiedendo scherzosamente se loro lo sognassero la notte. C’è il politico che, intervistato da tanti microfoni, sceglie di rivolgersi alla donna che «porta un vestito carino», c’è il ministro di turno intento a fissare sfacciatamente le gambe della cronista. C’è persino il deputato che saluta le giornaliste in Parlamento con frasi del tipo: «Ah, ma voi battete il marciapiede, aspettate il cliente». Non manca davvero nessuno in questo grande circo a muoversi in maniera più o meno oltraggiosa sulla sinusoide del sessismo.
Siamo state abituate ad avances di questo genere, sappiamo come accennare un sorriso e passare oltre. Queste quaranta giornaliste ci ricordano però che non siamo obbligate a farlo, che non tutto è etichettabile come un gioco. Soprattutto quando non fa ridere. Anche quando non si scivola nella molestia vera e propria, questi atteggiamenti sono altrettanto dannosi, sono continue delegittimazioni della professionalità e del lavoro della donna in oggetto. È proprio contro questo mix di sessismo, paternalismo pesante e mediocre machismo che hanno alzato la penna le giornaliste francesi, smentite nell’illusione che tutto questo sarebbe andato estinguendosi dopo il caso Strauss-Khann.
Il manifesto inizia così: «Noi non siamo la Géneration Giraud», prendendo dunque le distanze da Françoise Giraud, la prima donna a dirigere, negli anni Settanta, un grande settimanale, l’Express. Donna che avallava e cavalcava gli stereotipi maschili, la Giraud era solita assumere donne avvenenti, convinta che i politici si sarebbero svelati più facilmente con loro. Scelta facile e pericolosa, di cui oggi, a quarant’anni di distanza, giornaliste innocenti pagano lo scotto. Sotto la presidenza Sarkozy così come sotto quella Hollande il clima di ambiguità nelle sale del potere resta altissimo, denunciano le firmatarie. Purtroppo non è solo in Francia che si creano queste situazioni e si scredita il lavoro femminile: gli esempi sono infiniti e persino nella Germania che si credeva immune da questo sessismo becero scoppiò un caso simile nel gennaio 2013. Le autrici di «Giù le zampe!» si dicono convinte che «finché la politica resterà in grande prevalenza in mano a uomini eterosessuali sulla sessantina non cambierà niente». E allora forse bisognerebbe provare a partire proprio da lì.