L’anzianità di servizio nei contratti a termine
Con la sentenza n. 262/15 la Suprema Corte ha affrontato l’annosa questione relativa alla sussistenza o meno del diritto in capo ad un dipendente, ripetutamente assunto a termine dallo stesso datore di lavoro, di vedere riconosciuta – in ipotesi di dichiarazione giudiziale di illegittimità del termine e di conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato – l’anzianità di servizio maturata e i conseguenti diritti patrimoniali riconducibili ai relativi scatti.
Un tema sul quale, nel caso di specie, il tribunale non si era pronunziato e che la Corte d’appello aveva risolto ritenendo la pretesa in questione soddisfatta dall’indennità omnicomprensiva prevista dall’articolo 32, comma quinto, della legge 183/2010.
Nel cassare la pronunzia di secondo grado, la Cassazione rammenta che l’articolo 1, comma 13, della legge 92/2012 «si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostruzione del rapporto di lavoro».
Essendo l’indennità volta al “risarcimento” del lavoratore, quest’ultima concerne un danno subito dal lavoratore, vale a dire un danno derivante dalla perdita del lavoro dovuta ad un contratto a termine illegittimo, un danno da mancato lavoro.
Inoltre secondo i giudici di legittimità l’indennità prevista dall’ articolo 32 «non riguarda il periodo (in caso di un unico contratto a termine) o periodi di lavoro (in caso di più contratti a termine). I diritti relativi a questi periodi non possono essere intaccati e inglobati nell’indennizzo forfetizzato del danno causato dal non lavoro. Per questi periodi non vi è niente da risarcire ed il risarcimento mediante indennizzo non può, in una sorta di eterogenesi dei fini, risolversi nella contrazione di diritti legati da un rapporto di corrispettività con la prestazione lavorativa effettuata».
Diretta conseguenza di questo principio, conclude la Corte, è non soltanto il diritto alla retribuzione, bensì anche a «che tale periodo o tali periodi siano computati ai fini della anzianità di servizio e, quindi, della maturazione degli scatti di anzianità».
La stessa Corte si era già espressa in tal senso nel 2012, con la sentenza n. 15265 ed ancor più recentemente con le pronunzie 13630/2014 e 13732/2014, sottolineando come questo iter logico-giuridico sia il più coerente con il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato «anche e specificatamente in ordine all’anzianità di servizio».
Nonostante ciò, il principio espresso in sentenza non pare l’effetto di una diretta applicazione del principio di non discriminazione tra un contratto a tempo determinato e uno a tempo indeterminato, bensì la naturale conseguenza della conversione del primo nel secondo, esseno riconosciuta al lavoratore l’anzianità di servizio.