Il Regno: l’inchiesta di Emanuel Carrère

Il Regno di Emanuel Carrère uscito per Adelphi da qualche mese è un libro notevole; per la sua ampiezza narrativa nella quale si distendono diversi strati che infondono una straordinaria profondità ad un testo iperequilibrato; per la competenza storica del suo autore; per l’elevata capacità di ridare lustro a quella nobile corrente di pensiero, oggi sempre più confusa con una sorta di comodo relativismo, che va sotto il nome di agnosticismo.

Il testo si apre con una disfatta; con un’occasione perduta causa «l’inguaribile superiorità» del protagonista, cioè lo stesso Carrère; incapace di sopportare le provocazioni di alcuni ragazzi improvvisamente rinuncia alla collaborazione di una importante sceneggiatura di una serie televisiva, Les Revenants, la quale avrebbe poi avuto un successo planetario e che racconta il ritorno dei morti in un piccolo paese di montagna; non sono zombie ma persone vere che ignorano di essere morte. La storia evoca il tema della resurrezione tanto cara nel suo passato trascorso da devoto cristiano. A distanza di vent’anni, lasciatosi alle spalle questa incresciosa esperienza lavorativa, non senza un grande pentimento, Carrère riprende a scrivere il suo libro sui primi cristiani che aveva momentaneamente accantonato per concentrarsi su Les Revenants. Mentre scrive – sette anni impiegherà per portarlo a compimento – è già diventato quello che aveva «così tanta paura di diventare»:«uno scettico. Un agnostico —nemmeno abbastanza credente da essere ateo». Il romanzo che scaturisce dalla volontà di conoscere le origini e la propagazione di «quella piccola setta ebraica che sarebbe diventata il cristianesimo» è una una grande investigazione; l’autore ricostruisce con acribia gli eventi del I secolo facendo rivivere davanti ai nostri occhi come fossero nostri contemporanei gli uomini che li hanno determinati. Su tutti l’ebreo Saulo ( il futuro San Paolo) e il medico macedone Luca. Con quest’ultimo che in rapporto al primo appare più mite e tollerante c’è un sorta di sottile identificazione; il suo vangelo come l’inchiesta portata avanti da Carrère ha tutte le caratteristiche del romanzo che si avvale di colpi di scena e trovate drammaturgiche pensate ad arte. Come era accaduto in Limonvov, anche qui insieme ai continui excursus storici che vanno dalle guerra giudaica raccontata da Flavio Giuseppe, le persecuzioni dei cristiani, Nerone con il suo precettore Seneca fino alla conversione di Costantino, non mancano i continui rimandi autobiografici che parlano del suo rapporto con la moglie, con il suo grande amico buddhista Hervè e quello con la sua preziosa sua madrina. Tutto è magistralmente intrecciato; tutto si trasforma «in un’avventura erudita ed esaltante, un’avventura screziata di autoderisione e di un sense of houmour che per certi versi ricorda Brian di Nazareth dei Monty Python».

Il Regno con il suo finale dalla commovente coerenza è una tessuto fatto di innumerevoli variazioni sul tema della sospensione del giudizio; intesa non come pigrizia del pensiero ma come sottesa esaltazione della ricerca la quale invece richiede uno sforzo costante; la sua lettura incredibilmente coinvolgente un’occasione per comprendere quanto spesso la nostra fede sia nient’altro che la maschera delle nostre presunte certezze utili solo ad ancorare l’angoscia dell’impossibilità di conoscere.

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