Da Mare Nostrum a mare monstrum
Uomini e donne, vecchi e bambini. Centinaia di vite consegnate alle profondità del mare. Settecento, novecento, il numero forse non lo sapremo mai. Quella dello Stretto di Sicilia è stata un’ecatombe (non chiamiamola tragedia, quelle sono inevitabili) di dimensioni sconcertanti, mai viste.
Nemmeno un numero di morti così drammatico, però, ha frenato gli odiatori compulsivi, immancabili e instancabili, che sono corsi a vomitare i loro commenti, ignobili al punto che il direttore dell’Unione Sarda ha deciso di non fornire aggiornamenti via Facebook, limitando le informazioni al sito ufficiale. Si va dai classici «sempre troppo pochi» ai «troppo bello per essere vero», passando per i professionisti del benaltrismo nostrano «i suicidi della crisi non fanno notizia», fino al razzismo più becero e sfrontato. Tra i commentatori, molti attaccano Mare Nostrum, la soluzione “buonista” che farebbe ricadere la responsabilità di ogni singola morte sulle spalle del governo italiano, ignari che l’operazione lanciata dal governo Letta all’indomani del naufragio del 3 ottobre 2013 sia andata in pensione il 1 novembre 2014. Quel giorno, infatti, è stata inaugurata ufficialmente Triton, gestita di concerto dall’UE, più precisamente dall’Agenzia europea delle frontiere, Frontex. Al di là dei proclami di unità e solidarietà all’indomani delle stragi (quante volte ancora dobbiamo leggere «Berlino: L’Italia non è sola», «Parigi: non possiamo lasciare sola l’Italia» senza che nulla cambi?), però, Triton non ha risolto né «l’emergenza sbarchi» in Italia né ha impedito che stragi come quella costata la vita a 366 persone si ripetessero.
Lo scopo dell’operazione, del resto, in linea con la mission di Frontex, non è quello di recuperare le carrette del mare e i loro passeggeri salvandoli spesso da morte certa ma, molto più semplicemente, quello controllare le frontiere. Leggi: tenere fuori chi tenta di entrare. Un obiettivo chiaro, dichiarato, ben diverso da quello che aveva ispirato la nascita di Mare Nostrum, ovvero la salvaguardia dei migranti e l’arresto degli scafisti. La missione del governo italiano era affiancata dall’operazione – gestita da Frontex – Hermes, deputata al controllo delle frontiere, ma con l’entrata in vigore di Triton non è rimasto che questo secondo aspetto. Per questo il raggio d’azione è stato considerevolmente ridotto, così come i mezzi impiegati. Se con Mare Nostrum i mezzi di Marina Militare, Guardia Costiera, Aeronautica, Guardia di Finanza e Capitaneria di Porto si spingevano sino a ridosso delle coste libiche per recuperare le imbarcazioni in pericolo, la flotta di Triton (cui l’Italia fornisce circa la metà dei mezzi) non si allontana oltre le 30 miglia dalle coste italiane. Il soccorso delle navi a rischio naufragio è lasciato alle imbarcazioni mercantili, un sistema che il Pm di Catania ha definito «non adeguato». Un’affermazione che, purtroppo, sembra essere confermata dai numeri. Secondo i dati dell’UNHCR, infatti, dall’entrata in vigore di Triton a oggi, i morti sarebbero oltre duemila. Lo scorso anno, nello stesso periodo, erano stati venti.
Certo, Mare Nostrum era molto più caro, 9,5 milioni al mese contro 2,9, ed era totalmente a carico dell’Italia. Ma ha salvato oltre centomila vite in mare e, forse, avrebbe potuto risparmiare anche i cadaveri senza nome che negli ultimi giorni sono andati a ingrossare la fossa comune in cui si è trasformato il Mediterraneo. Morti che hanno avuto la sfortuna di nascere dalla parte sbagliata del mare, morti che sembrano non avere diritto nemmeno alla dignità, morti che potevano, e dovevano, essere evitate. La colpa, però, non è solo dell’Europa, degli scafisti o della sfortuna. Mentre una parte del Paese – quella pancia arrabbiata e istigata dagli sciacalli della politica – ha continuato a gridare che ogni centesimo speso per salvare «gli invasori» è rubato dalle nostre tasche, l’altra è rimasta troppo spesso il silenzio. La colpa è anche nostra. Abbiamo lasciato che Mare Nostrum fosse sostituito con un’operazione di pattugliamento delle frontiere senza protestare. Abbiamo dimenticato che i viaggi della speranza sono costati, negli ultimi quindici anni oltre 25.000 morti (ven-ti-cin-que-mi-la, immaginate di contarli tutti). Ci siamo indignati solo quando il numero delle vite spezzate dal mare era troppo grande per lasciarci indifferenti. La colpa è anche nostra perché non abbiamo chiesto al nostro Paese, ai nostri governanti, all’Europa di mettere al primo posto la vita, oltre l’austerità, la nazionalità, i confini.