Eduardo Galeano, il cuore dell’America Latina
Ogni morte appare sempre allo stesso tempo fallace e lacerante. Finta, perché è così incoercibile che spesso ci voltiamo convinti che il nostro amico sia ancora lì, e che in fondo sia stata tutta una messa in scena; e lacerante, perché una volta voltati il nostro amico non c’è.
Mi sarebbe piaciuto essere amico di Eduardo Galeano, scomparso il 13 aprile a soli 71 anni, e condividerne gli ardori e le passioni, come quella che sempre ha nutrito per il calcio, gli ideali, l’ironia, e penso anche i difetti. Mi sarebbe piaciuto anche solo ascoltarlo parlare, poiché da molti è riconosciuto come il suo stile scrittorio si sia modellato in certi casi sulla sua oralità commovente e dirompente, sempre spesa in giro per il mondo a raccontare le storie, i sogni, gli amori e gli orrori dell’America Latina.
Era il 1971 quando usciva Le vene aperte dell’America Latina, il libro che Chavez regalò a Obama nel 2009, un libro dirompente, magnifico e umile al tempo stesso, immenso e semplice come pochi. Qui, Galeano racconta, descrive con la precisione del reportage, il Continente esangue, dissanguato da secoli di conquistadores, ma lo fa a partire dalle vite quotidiane, dai drammi in cui chiunque avrebbe potuto riconoscersi, dalle cose normali. Perché la Storia in fondo, alla base, è fatta di cose normali, semplici, elementari, dalle persone sulle quali grava il terribile peso degli eventi. Come i due terribili colpi di Stato che lo avevano costretto a concludere il libro da esule in Spagna, dopo essere fuggito dall’Uruguay e poi dall’Argentina.
Da allora sono passati molti anni. Eduardo è tornato a vivere e morire a casa sua, e la sua penna, sempre rimasta penna a inchiostro, ha continuato a raccontare con il suo stile incisivo l’America di chi non aveva voce. Con le sue opere, tra le quali ricordiamo la trilogia delle Memorie del fuoco, parole in cammino, A testa in giù, Le labbra del tempo, Il libro degli abbracci Galeano ha dato vita a una memoria preziosa e incancellabile, ha dato parole alle vite di un intero Continente del quale possiamo intravederne il cuore pulsante, ferito e lacerato, ma ancora ardente e coraggioso. Egli ci ha cantato la storia senza mostrarne soltanto la maschera, ma porgendola intera e senza veli, con la maestria di un prestigiatore affascinante, che dietro tanto fumo svela l’essenza delle cose.
Mi sarebbe piaciuto essere amico di Eduardo Galeano, e ascoltarne bramoso la voce. Ma non è già troppo tardi, poiché egli parla ancora nei cori bellissimi che ha saputo comporre, così delicati da addolcire persino la morte, che contro certe persone si rivela non tanto fallace, ma solo terribilmente impotente.