Ucraina: omicidi politici e rischio default
In Ucraina la tregua di Minsk regge balbettando; sia l’esercito ucraino che i resistenti del Donbass hanno segnalato reciproche infrazioni del cessate il fuoco nelle ultime tre settimane. Come già avvenuto per Minsk I, la tregua che aveva posto fine alla controffensiva di agosto 2014 anche durante i vigenti accordi di Minsk II i confini restano congelati e gli eserciti non avanzano, la zona cuscinetto interdetta ai mezzi pesanti è sostanzialmente rispettata, ma le provocazioni, i colpi di artiglieria e le scaramucce si susseguono. Dietro le linee nel frattempo ci si riorganizza e si fa pulizia sul fronte interno.
Il Governo di Kiev spazia a tutto campo dalla messa fuori legge delle ideologie nazista e comunista (la cui equiparazione ha scatenato le proteste del centro Wiesenthal), alla regolarizzazione nei patri ranghi delle milizie volontarie (dove contraddittoriamente simboli e simpatie naziste abbondano). Quello contro i comunisti ucraini è soltanto l’ultimo atto persecutorio dai fatti di Maidan ad oggi. Il partito comunista ucraino, una forza politica che in passato aveva raccolto fino al 20% dei consensi su scala nazionale, ha visto negli ultimi due anni nell’ordine: devastare e occupare la propria sede, intimidire i propri iscritti, estromettere il proprio gruppo parlamentare dalla Rada e, oggi, criminalizzare i propri simboli storici e i propri riferimenti ideologici dallo stesso governo che nel frattempo riabilitava Bandera e si serviva di bande neonaziste.
Se i comunisti se la passano male i dissidenti legati all’Ucraina pre-majdan muoiono come mosche. Dopo la strana epidemia di suicidi[link] tra gli uomini politici vicini al deposto presidente Yanukovich, questa settimana è stato ucciso a sangue freddo davanti casa sua Oleg Kalashnikov ex deputato dello stesso partito oggi attivo oppositore del governo di Kiev. A poche ore di distanza veniva ucciso da due uomini a volto coperto anche il giornalista Oleg Buzina, notoriamente critico verso il governo e vicino alle posizioni del Cremlino. Questo mentre nel Paese compaiono campagne di stampa e cartellonistica stradale che invitano a denunciare alle autorità i collaborazionisti filo-russi, riportando in Europa l’odioso ricorso della delazione in voga durante i regimi totalitari.
E’ dalla strage di Odessa nella primavera 2014 che forze governative e anonimi commando perseguitano o addirittura fanno strage di dissidenti, senza che ad oggi sia mai stato individuato alcun colpevole. Eppure a questi spargimenti di sangue, pur sempre ucraino, non sembrano far seguito incrinature nel sostegno a Kiev da parte della comunità internazionale, in altri contesti sempre molto vigile nel denunciare le violazioni dei diritti umani.
Il problema più impellente per il governo di Poroshenko resta ad oggi la crisi economica, che vede l’Ucraina tra i quattro Paesi vicini al default insieme al Venezuela, all’Argentina e, naturalmente, alla Grecia. Il PIl scenderà di oltre il 5% per il secondo anno consecutivo, l’inflazione è intorno al 30%, la Grivnia è debole e le riserve in valuta estera pressoché dilapidate. Soltanto pochi giorni fa l’agenzia Standard&Poors ha abbassato il rating di Kiev a CCC- con outlook negativo, definendo il default del debito sovrano “virtualmente certo”.
Twitter: @aramcheck76
[nella foto Oleg Kalashnikov]