Genocidio, la parola negata agli armeni
Ge-no-ci-dio. Quattro sillabe, nove semplici lettere e l’ira funesta del governo di Ankara si scatena. Per la Turchia il genocidio del popolo armeno perpetrato nella primavera del 1915 resta il grande rimosso della sua storia. Pur riconoscendo che ci furono valanghe di uccisioni, il solo alludere alla possibilità che il massacro sia stato di impianto etnico e religioso e non solo legato alle contingenze storiche della Grande Guerra equivale a infrangere la legge turca. Ecco perché la reazione al discorso di Papa Francesco, che in occasione dell’incontro con il patriarca armeno Karekin II ha definito ciò che accadde in Armenia «il primo genocidio del ventesimo secolo», è stata fuori controllo. L’ambasciatore turco presso la Santa Sede è già stato ritirato e il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu minaccia ulteriori contromisure. Imbracciando le armi pesanti della contesa personale, il ministro per gli affari europei Volkan Bozkir è arrivato a dire che il Pontefice parla così perché viene dall’Argentina, Paese «che ha accolto i nazisti» e nel quale «la diaspora armena è dominante nel mondo della stampa e degli affari». Il Gran Mufti Mehemt Gormez, la principale autorità religiosa islamica sunnita turca, ha insinuato che a guidare le parole del Papa ci siano «lobby politiche e ditte di relazioni pubbliche».
Insomma la Turchia è insorta eppure Bergoglio non ha detto nulla di rivoluzionario ma si è limitato a ribadire quella che è la posizione della chiesa cattolica ormai da un quindicennio. Già Papa Giovanni Paolo II, nel 2000, in un comunicato congiunto con il capo della chiesa apostolica armena parlava esplicitamente di genocidio, anche se bisogna ricordare che da quel momento in poi la parola incriminata è stata espunta da ogni suo successivo discorso e sostituita con l’espressione Medz yeghern, “il grande crimine”. Insomma l’accusa che Ankara rifiuta non è quella di aver compiuto un massacro ma di averlo condotto in maniera mirata e sistematica contro un popolo. Nei fatti però è proprio quel che è accaduto e non sarà l’uso di una perifrasi a cancellarlo dalla memoria.
I paesi che hanno riconosciuto ufficialmente il genocidio sono 22, inclusa l’Italia che però è talmente spaventata da comportarsi come se non avesse mai compiuto questo passo. Lo scorso marzo è stata organizzata a Roma una rassegna culturale sul genocidio armeno ma c’è stata difficoltà a ottenere il patrocinio statale. C’era infatti prima una condizione da accettare: eliminare la parola “genocidio” da ogni titolo, onde evitare incidenti diplomatici, come racconta all’Huffington Post la curatrice della rassegna, la professoressa Maria Immacolata Macioti. Ma l’Italia non è sola quando si tratta di sfoderare una pronta ipocrisia a protezione di utili relazioni diplomatiche. La necessità di mantenere buone relazioni con la Turchia, soprattutto oggi che è prezioso alleato contro l’avanzata jihadista, sembra venir prima di ogni riconoscimento storico. L’Onu ha sconfessato Bergoglio: per Ban Ki-Moon è bene che si continui a discutere del terribile massacro perpetrato ai danni del popolo armeno, ma guai a lasciarsi sfuggire la parola genocidio. Dal canto suo Barack Obama, che aveva promesso in campagna elettorale di riconoscere il genocidio armeno, nei fatti non ha ancora compiuto alcun passo, frenato dalla consapevolezza di cosa significhi mettersi contro l’alleato turco, e, casomai ci stesse pensando su, Erdogan sta facendo pressioni affinché non si azzardi a cedere all’invisa, impronunciabile parola in occasione delle commemorazioni del 24 aprile. Per l’onestà intellettuale non c’è spazio. È la realpolitik.