I rom, l’Europa e l’Italia
Brutti, sporchi e criminali. I rom e i sinti – gli “zingari” – sono la minoranza più discriminata d’Italia. Nel sentimento comune di molti, sui social e per le strade, il messaggio di fondo sembra essere uno solo: “Io non sono razzista MA i rom li odio”, una frase che potrete sentire pronunciare senza che nessuno, o quasi, batta ciglio. Sì, perché il razzismo contro i rom è socialmente accettato e chi non si unisce al coro è un “buonista”, “radical chic sinistroide”, “un “razzista nei confronti degli italiani” o “come Laura Boldrini”. Da anni si grida all’emergenza sicurezza, agitando il sempreverde spettro degli zingari ladri e rapitori di bambini (per la cronaca: nessun rapimento da parte dei rom è mai stato riportato dalla polizia. Nessuno). Molti, soprattutto in rete, vagheggiano di un problema tutto italiano, in un’Europa capace di usare il pugno di ferro contro i rom mentre noi li trattiamo come pascià lasciandoli liberi di sfogare la loro natura criminale e violenta. Raccontano un’Italia che per i rom è come un paradiso di privilegi e diritti senza doveri, mentre “gli altri” si limitano a espellerli e “rimandarli a casa loro”. I numeri e i fatti, però, raccontano una realtà un po’ diversa.
In Italia i rom sono circa 180.000, lo 0,25% della popolazione. In Germania sono 120.000, nel Regno Unito 250.000, in Francia 400.000, in Spagna addirittura 750.000. Cifre importanti, che diventano mediamente più alte nei Paesi dell’Europa Centrale e Orientale, dove la percentuale di rom rispetto alla popolazione raggiunge le due cifre: il record è della Macedonia, dove sono l’11,5%, ma la popolazione rom più consistente è in Romania, dove superano i due milioni. Numeri decisamente più alti dello zero virgola nostrano. Complessivamente, i rom presenti nell’Unione Europea sono circa 6 milioni: una minoranza ridotta, ma discriminata sopra ogni altra. Secondo un’inchiesta condotta dal PeW Researcher Center francese nel 2014, l’intolleranza nei loro confronti non conosce colore politico, né nazionalità. Gli stereotipi e i pregiudizi millenari si rincorrono anche fuori dai patri confini, uguali a se stessi o con variazioni locali. Quello che cambia di Paese in Paese, però, sono le politiche di integrazione e, conseguentemente, i risultati. Se, infatti, come denuncia il Der Spiegel, nonostante i fondi stanziati l’Europa ha complessivamente fallito su questo fronte, le differenze nazionali sono profonde.
La «Relazione sull’attuazione del quadro UE per le strategie nazionali di integrazione dei rom», pur prendendo atto che la strada da fare è ancora molto lunga e difficile, presenta molti progetti con cui i Paesi dell’Eurozona hanno perseguito la via dell’inclusione con politiche positive, ottenendo risultati che – seppure ancora insufficienti – lasciano ben sperare. In Spagna, dove i rom costituiscono l’1,8% della popolazione, le politiche di integrazione hanno raggiunto i risultati più alti che in ogni Paese d’Europa, sia dal punto di vista sociale che da quello abitativo – qui non esistono i campi nomadi – che sanitario, migliorando l’accesso e le condizioni sanitarie di rom e sinti servendosi dei “mediatori sanitari”. Significativamente, la Spagna è il Paese che presenta il minore tasso di discriminazioni e il 56% degli spagnoli ha espresso opinioni favorevoli nei confronti dei rom. Resta da sciogliere il nodo dell’istruzione – molti bambini abbandonano gli studi dopo le elementari – un campo in cui, secondo il documento, si è distinta la Danimarca. Il progetto lanciato nel 2009 e gestito dal Ministero dell’Istruzione “Hold on tight caravan”, che promuove la scolarizzazione e l’inserimento nel mondo del lavoro dei giovani appartenenti a minoranze etniche, sta già dando i suoi frutti: i tassi di abbandono generale della scuola e della formazione si sono ridotti dal 20% a meno del 15% e anche il divario con gli studenti danesi si è ridotto. Tra i numerosi esempi che mostrano tentativi d’intervento mirati ai diversi ambiti – istruzione, alloggio, occupazione, sanità, contrasto alla discriminazione, sostegno finanziario e politiche sostenibili – l’Italia semplicemente non figura. Mai.
L’Italia ha un solo primato, quello dell’intolleranza. Secondo lo studio del PeW, solo il 10% della popolazione ha espresso opinioni favorevoli sui rom e secondo la vulgata populista che imperversa i contribuenti italiani pagano fior di quattrini per mantenere i rom che, senza alcuna esclusione, si dedicano alla criminalità e non ne vogliono sapere di integrarsi. Una visione che, se affonda le radici in un disagio sociale reale e in casi di microcriminalità, dimostra un’ignoranza della reale condizione dei rom in Italia. Il 50% di loro – con buona pace di chi vorrebbe mandarli “tutti a casa” – ha la cittadinanza italiana. La metà degli stranieri abita nel Paese da oltre 15 anni e si stima che oltre 15.000 siano minori, nati e cresciuti in Italia ma a rischio di apolidia. L’orrore dei campi nomadi – campi di segregazione coatta spaziale e sociale – coinvolge “solo” 40.000 persone, circa un quinto del totale. L’esistenza di un sistema abitativo per soli rom – su base etnica, quindi – con condizioni ben al di sotto degli standard – stabiliti dal Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite e umanamente accettabili – è valso al Belpaese non solo il nome di “Paese dei campi” ma, soprattutto, numerose condanne da parti di enti di monitoraggio e organizzazioni per la tutela dei diritti e richiami dall’Unione Europea. L’Italia, però, non sembra intenzionata ad abbandonare la politica concentrazionaria sulla base dell’assunto – sbagliato – che i rom siano nomadi (secondo le stime, attualmente meno del 3% lo è). Lo scandalo di Mafia Capitale, del resto, è lì a ricordarci quali interessi girino intorno alla sistematica negazione dei diritti delle persone recluse. E proprio sui campi, varrebbe la pena concentrarsi, più che sull’ennesima sparata fascioleghista di Salvini, sul rapporto annuale dell’Associazione 21 luglio, secondo cui i campi «hanno raggiunto soglie di spesa elevatissime, non giustificate dai risultati raggiunti, senza far registrare alcun miglioramento nelle condizioni di vita né nell’inserimento nel tessuto sociale di rom e sinti, ma ne hanno anzi sistematicamente violato i diritti umani, risultando inaccettabili e insostenibili sia dal punto di vista sociale che economico».