Arzu Bostac, storia di una donna mutilata dal marito

L’ennesimo episodio di violenza sulle donne si è consumato in Turchia ed è assurto agli onori della cronaca per essere contrassegnato da un’efferatezza inaudita. La vittima, in questo caso, ha il nome di Arzu Bostac, una donna turca mutilata dal marito che le rifiutava il divorzio.

La vita matrimoniale di Arzu è stata da sempre costellata di violenze. Andata in sposa giovanissima a Ahmed Boztas, racconta di aver subito per anni vessazioni dal coniuge e che per tale motivo si era risolta a chiedere la separazione. L’uomo aveva minacciato di uccidere i genitori della donna se avesse insistito con la separazione, e ha più volte tentato di ammazzare la stessa moglie, scampata al pericolo grazie all’intervento dei figli o di altri familiari.
Alcuni anni fa, come racconta la ragazza in un’intervista rilasciata all’Espresso, la famiglia si era spostata presso la città di Ankara, dove Boztas aveva violentato e messo incinta un’altra donna. Arzu in quell’occasione era riuscita ad accordarsi con la famiglia della vittima affinché non denunciasse il marito; in cambio, aveva ottenuto il consenso al divorzio e l’impegno dell’uomo a sposare la ragazza di cui aveva abusato.

Ma così non è andata. L’uomo, approfittando di una giornata in cui si trovava da solo a casa con la moglie, ha messo in atto un piano che, probabilmente, aveva già approntato da tempo. Ritenendo impensabile restituire alla giovane la libertà di una vita dignitosa, le ha sparato a braccia e gambe, lasciandola disabile e rendendole, tra l’altro, impossibile prendersi cura dei loro sei figli.
Arzu ha subito delle operazioni e sta lottando per riacquistare l’uso degli arti, mentre il coniuge, o ex coniuge, sta scontando in prigione la pena per stupro, in attesa del processo per tentato omicidio.

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Il caso della ragazza turca ha suscitato particolare scalpore per le atrocità inferte dal marito aguzzino, ma è soltanto uno dei tanti episodi di violenza sulle donne che riempiono le pagine di cronaca. E, in verità, molte di queste vicende, al di là della morbosa curiosità di alcuni palinsesti televisivi, sembra non provochino più la giusta e dovuta attenzione. Il fenomeno sembra essere avvertito come un fatto statistico, fisiologico, quasi ineluttabile, al pari di una malattia o di una catastrofe naturale. Purtroppo la realtà mostra come, nel nostro Paese, i femminicidi – gli “omicidi di genere” – siano drammaticamente aumentati negli ultimi anni, come denunciato dalla portavoce dell’ONU Rashida Manjoo; e la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione della violenza sulle donne attende tuttora la ratifica di dieci Stati, essenziale per la sua entrata in vigore. Uno degli aspetti più agghiaccianti di questi omicidi – nonché dei tanti casi di aggressione fisica e persecuzione psicologica – è che avvengano, nella quasi totalità, non per mano di un estraneo, ma di una persona vicina, spesso un ex compagno che non vuole rassegnarsi alla “perdita” della propria moglie o fidanzata. Che non comprende e non tollera che una donna vessata, o stanca, o semplicemente non più innamorata, decida di andarsene. Chissà quante altre leggi e quante campagne di sensibilizzazione occorreranno perché si capisca che questa rabbia non può trovare giustificazione. Che una persona non è una cosa. E che non si può perdere qualcosa che non si possiede.

Twitter: claudia_pulchra