Yarmuk, un luogo «al di là del disumano»
Carenza di cibo, di acqua e di farmaci, esecuzioni sommarie, macerie. È questo lo scenario che si materializza davanti agli occhi nel campo profughi palestinese di Yarmuk, in Siria, alle porte di Damasco. I rifugiati palestinesi, già messi a dura prova da due anni di assedio da parte delle forze di Assad, che ne hanno ridotto il numero di abitanti da 150.000 a soli 18.000, sono da mercoledì 1 aprile sotto l’attacco dei jihadisti. Stato Islamico e Fronte al-Nusra (il ramo siriano di Al Qaeda), che fino all’anno scorso si facevano la guerra, irrigiditi su posizioni tra loro inconciliabili, sembrano aver trovato un’intesa, d’accordo come sono nel distruggere le forze laiche palestinesi e nel sottrarre la Siria ad Assad.
In soli cinque giorni Is e al-Nusra sono riusciti ad assumere il controllo del 90% del campo di Yarmuk, ma ieri hanno cominciato a perdere terreno e attualmente sono padroni del 60%. L’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria ha reso nota la notizia della decapitazione di due leader di una cellula locale di Hamas che cercavano di difendere il campo. Ma gli scontri a terra non sembano essere abbastanza, i fronti aperti sono più d’uno. Yarmuk infatti dista solo pochi chilometri da Damasco e si configura quindi come avamposto strategico per accedere alla capitale siriana. Le milizie del regime, per frenare l’avanzata del nemico, hanno così cominciato a lanciare su Yarmuk le cosiddette bombe-barile, ovvero grossi contenitori riempiti di esplosivo e frammenti di metallo che vengono sganciati sui luoghi prediletti, sacrificando senza pietà vite umane. Il rapporto di Chris Gunnes, funzionario dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, definisce la situazione nel centro di Yarmuk «al di là del disumano». L’Onu ha chiesto l’accesso al campo per portare aiuti umanitari, ribadendo che vietare l’accesso a cibo e farmaci è un crimine di guerra ed è vietato dal diritto internazionale.
La miseria e la morte regnano a Yarmuk, da cui si cerca di fuggire sebbene le difficoltà e i rischi siano altissimi, visto che i confini del Paese sono chiusi per i palestinesi. Ahmed Majdalani, un funzionario dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, ha dichiarato che una delegazione è partita per Damasco per discutere la creazione di un vero e proprio corridoio umanitario. Save the Children intanto denuncia che sono almeno 3.500 i bambini ancora intrappolati nel campo profughi e che corrono ogni istante il rischio di essere uccisi. Solo qualche giorno fa la foto della bambina siriana Hudea, che alzava le braccia in segno di resa di fronte a una macchina fotografica creduta un’arma, aveva fatto inumidire gli occhi di tutto il mondo. Ora moltiplicate quell’immagine per 3.500 volte e avrete una polaroid di quell’inferno chiamato Yarmuk.