La cantatrice calva, british conversations al Vascello
Lezione numero uno: il sipario si apre sul salotto dei coniugi Smith. Lo stile della scena non lascerebbe spazio ad alcun dubbio, se non ci fosse comunque un narratore esterno (il pompiere, che ritroveremo in seguito) a sottolinerare minuziosamente la natura inglese di tutti gli oggetti dell’arredamento. Comincia così lo spettacolo portato in scena dal Teatro Metastasio dall’opera di Ionesco, La Cantatrice Calva, uno dei testi più rappresentativi non solo del teatro dell’assurdo ma del teatro del ‘900 in generale. Facendo un piccolo gioco di ruoli, immaginiamo di calarci nei panni di uno spettatore del 1950, anno in cui la commedia fu portata per la prima volta in scena. All’apertura del sipario, riconoscerà nella poltrona vintage, negli abiti e nelle acconciature dei due attori, persino nella dizione delle battute, tutte le caratteristiche di un dramma borghese di un secolo prima, francese, inglese o più in generale europeo.
Ed ecco che in questo sottile meccanismo, si svela velocemente la potenza del breve testo, che ha la capacità di eludere furbescamente le aspettative del pubblico celando nelle pieghe del dramma borghese un sarcasmo dirompente sull’attualità. L’opera è famosa, per questo basterà aggiungere che nei dialoghi non sense, nelle sentenze, nei luoghi comuni, nei proverbi e nelle short-stories Ionesco racchiude un’aspra polemica nei confronti della borghesia e delle abitudini sociali del tempo, in particolar modo dell’Inghilterra del primo ‘900, implicitamente anche nel teatro che a questa classe e alle sue convenzioni aveva dato voce.
L’operazione si compie, quasi per gioco, estrapolando alcuni passi dei libri di testo da cui Ionesco, naturalizzato francese, imparava la lingua dei British in quegli anni del sue esordio teatrale. Ne emerge un quadro circolare, un bel guazzabuglio, di continue contraddizioni e dialoghi sul nulla, recitati da Mauro Malinverno, Valentina Banci, Fabio Mascagni, Elisa Cecilia Langone, Sara Zanobbio e Francesco Borchi, che seguendo le note registiche di Massimo Castri sviluppano i diversi episodi dell’opera seguendo un andamento ascendente, una climax al cui vertice corrisponde il massimo momento di tensione, rumore e disordine. Prima che il sipario si apra nuovamente sulla seconda lezione di linguistica borghese, con il Signore e la Signora Martin in posizione, l’opera di Ionesco, il suo esercizio di stile, è stato sigillato con una forte dose di impressionismo teatrale che poco nasconde l’ampio ventaglio delle umane emozioni.