Tanti modi per (non) trovare lavoro

Partiamo dal web, quindi decidiamo in tempo di crisi di mettere in stand-by la nostra professionalità o vocazione e ricercare un impiego magari non troppo impegnato e neanche tanto qualificato.

La scelta quindi può ricadere sulla figura della segretaria nel caso in cui non fosse richiesta esperienza pluriennale, bensì capacità di problem solving, gestire una piccola contabilità e non ultimo rispondere ad una o più linee del telefono senza cambiare postazione, essendo le linee all’interno di uno stesso apparecchio.

Ora, sul web non si è quasi mai in contatto d’interesse, ma con l’alter ego ossia la famigerata agenzia interinale che si prende l’onere di ricercare tale figura nell’interminabile sequenza di annunci che partoriscono a gogò i motori di ricerca. Con una prova semplicissima, e quindi la composizione di diversi profili più o meno esperti, si riceve sempre la stessa risposta: silenzio. L’agenzia interinale non risponde, non agisce da tramite, non intrattiene in nessun modo un veicolo d’informazione tra domanda e offerta. Molto spesso tale offerta neanche esiste non essendo inserito nè il nome dell’agenzia nè quello della società, in disaccordo con la normativa vigente sul lavoro che recita che in Italia è illegale pubblicare annunci lavorativi in forma anonima. Eppure, in questo spettrale silenzio, all’improvviso qualcuno risponde recitando una frase che delizia e che dall’altra parte della cornetta vorrebbe essere registrata e riascoltata ancora e ancora: il profilo inviato corrisponde ai requisiti ricercati. Finalmente. Via verso il colloquio, ad un passo dalla verità. Ma l’incontro lascia interdetti, un pò lusingati, perché la società spiega che vuole attribuire alla segretaria non più quel ruolo statico e macchinoso, ma la vuole rendere interattiva. La mattina della prova ci si ritrova in un gruppo di venti persone, pronte a dislocarsi in tondo per la città in cerca di clienti. Si reclutano venditori porta a porta, non segretarie statiche e macchinose.

Altro modo infallibile per (non) trovare lavoro è rispondere all’annuncio delle pluri multinazionali del benessere che ricercano profili di segretarie con le lingue. Dopo il colloquio conoscitivo, l’azienda propone un incarico immediato previo acquisto di set benessere per la modica cifra di duecento euro. Che confusione questo mondo del lavoro. Sembra paradossale: si paga una quota sociale una tantum. Ma chi paga chi? Stessa modalità per l’offerta rivolta ad hostess di convegni. In questo caso il colloquio prevede la domanda irreprensibile : <<Ma lei è in possesso di un book?>>. La sventurata spiega che nell’inserto non era richiesto, e così con quattrocento euro più iva si accendono su richiesta i riflettori della notorietà.

Da non tralasciare poi le segretarie delle agenzie immobiliari. Loro almeno la clausola tarocca la comunicano alla prima telefonata, con la richiesta sì di una segretaria, ma con la partita iva. Poi c’è anche gente onesta. Gli stage, le collaborazioni e i tirocini che precisano: <<Grande opportunità di inserimento gratuito>>. Quindi non si paga per lavorare! Ringraziamo. In ultima analisi c’è l’assistente. Parola carica di responsabilità, di una certa importanza. L’assistente è imprescindibile, non si può fare senza: è colei che assiste, che monitora, che sbriga le faccende più ostiche, in sottofondo. Sì, ma non solo in ufficio. Anche nel dopo ufficio e nel post-dopo ufficio.

Per un mondo più bello e più giusto, ecco cosa servirebbe: filtrare gli annunci, richiedere certificazioni, abolire le agenzie interinali se rappresentano solo veicoli di facciata.

di Nicoletta Renzetti

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