Elezioni in Francia e Spagna, è la fine dei “populisti”?
Prima del voto erano i vincitori annunciati. Ora che non hanno “sfondato” nelle urne come i giornali avevano promesso per settimane, per molti il Front National francese e Podemos in Spagna sono già finiti. I numeri, però, raccontano una storia diversa.
I loro erano i risultati più attesi in questa domenica di voto. Nella Francia chiamata a eleggere i rappresentati dei dipartimenti e nelle regionali andaluse – il primo confronto elettorale dell’anno per la Spagna – tutti gli occhi di analisti e commentatori erano puntati su di loro, sui partiti “anti” che si battono – da posizioni diametralmente opposte – contro il sistema e l’austerità. I sondaggi avevano previsto “una valanga” e c’era già chi poteva udire distintamente il boom in lontananza. Dalle urne, invece, la loro forza è uscita ridimensionata e, in nessuno dei due casi, i due partiti sono riusciti a conquistare l’agognato primo posto. Ora, c’è già chi grida al flop, chi ci vede «una lezione per Grillo» e chi si bea del ritorno in scena dei buoni vecchi partiti tradizionali e del bipartitismo che piace tanto agli italiani, ma quella del Fn e di Podemos è una “sconfitta” che sembra emergere più dalle pagine dei giornali che dagli scrutini elettorali. In Francia, anche se la tanto attesa “Marée Bleue” non è arrivata, c’è ben poco di che gioire, come ha fatto a tempo record il primo ministro – di cui la Le Pen ha già chiesto le dimissioni – Manuel Valls che, a dieci minuti dai primi exit poll, ha twittato esultante: «stasera il Front National non è il primo partito in Francia».
Se è vero che il vincitore del primo turno è la coalizione guidata dall’ex Presidente Sarkozy, in cui sono alleati Ump e Udi, e che il Front National non è riuscito a riaffermare il successo delle europee, il risultato è tutto fuorché una disfatta. Il partito, che nelle amministrazioni locali partiva da zero – anzi, da uno, un solo consigliere su quasi quattromila – ha conquistato il 25,1% (era al 15% quattro anni fa) e domenica andrà al ballottaggio in centinaia di cantoni, praticamente in un seggio su due. Guardando alle coalizioni, il Fn risulterebbe addirittura la terza forza del Paese, dietro a Udi+Ump e alla sinistra unita di socialisti, verdi e sinistra radicale. Correndo da solo, però, nessun partito può replicare il risultato della Le Pen. Né quello socialista – che ha arginato il crollo rimanendo al 20% ma che ha perso oltre cinquecento cantoni – né l’Ump cui il ritorno del redivivo Sarko non ha dato l’effetto sperato. Ump e Udi – che hanno vinto battendo sui temi cardine dell’estrema destra lepenista, immigrazione e identità nazionale –, infatti, sono sì al primo posto con il 29,4% dei voti, ma separatamente raggiungono il 20% e poco meno del 10%, lo stesso risultato delle europee dello scorso anno.
Più che i risultati dei singoli partiti, quello che colpisce è che domenica quasi la metà degli aventi diritto è rimasta a casa, il 49,83%. Un dato clamoroso e allarmante, alla luce del quale il risultato del Fn appare ancor più difficilmente catalogabile come un insuccesso: del 50% che vota, infatti, un 25% sceglie stabilmente di dare il voto alla destra xenofoba e antieuropeista di Marine Le Pen. La battaglia è rimandata a domenica prossima, quando con il secondo turno arriveranno i risultati definitivi. Sarkozy non sembra interessato a fare la guerra a Marine e non si sbilancia oltre la promessa di evitare un accordo con il Front National, rifiutando la proposta della sinistra di costituire un Fronte Repubblicano per arginare l’avanzata del populismo d’estrema destra. Quel che è certo sin d’ora – e che è stato chiaro sin dalle europee del 2014 – è che, in Francia, lo schema classico centrodestra-centrosinistra non ha più alcun valore.
Il voto di domenica ha segnato la fine del bipartitismo anche in Spagna dove, schiacciato nelle cronache tra il “trionfo” dei socialisti e il “crollo vertiginoso” dei popolari (passati dal 40% al 26,7%), il risultato di Podemos – arrivato da zero al 15%, ormai la terza forza del Paese – ha scardinato il sistema tradizionale di alleanze e schieramenti. Se, infatti, fino alle ultime elezioni il Psoe e il PP in Andalusia si spartivano l’80% dei voti, da ieri non possono contare che sul 60%. E anche se il governo resta nelle mani dei socialisti – alla guida della regione da 33 anni – l’ascesa degli Indignados di Podemos, e in misura minore quella del partito centrista Ciudadanos (Cittadini) attestato al 9%, complica non poco il quadro politico. Certo, quelle appena passate non sono che elezioni regionali, ma lo scenario potrebbe ripresentarsi alle amministrative di maggio e alle politiche del prossimo ottobre, in vista delle quali i sondaggi danno già il partito di Pablo Iglesias oltre il 25%.