L’ultimo lupo di Jean-Jacques Annaud
L’ultimo film di Jean-Jacques Annaud, che uscirà nelle sale il 26 marzo è un viaggio meraviglioso nei luoghi incontaminati della Mongolia, là dove la mortifera mano dell’uomo non ha avuto ancora il tempo di perpetrare il suo ennesimo delitto. È nella verginità di questi spazi che prende vita la favola del regista francese tratta dal best-seller Il totem del lupo di Jiang Rong uscito nel 2004 in Cina e tradotto in trenta paesi con più di venti milioni di copie vendute.
Chen Zhen (Shaofeng Feng) è un giovane studente di Pechino che insieme al collega e amico Yang Ke (Shwaun Dou), viene mandato nelle zone interne della Mongolia per insegnare il cinese ad una tribù di pastori. Immerso in questa nuova realtà, tanto diversa da quella cittadina da cui proviene, si accorge ben presto di essere lui quello che ha molto da imparare: sulla comunità, sulla libertà ma sopra ogni altra cosa sul lupo, la creatura più rispettata del posto. Sotto la guida sapiente del saggio di questa minuscola etnia rimane incantato dal legame speciale instaurato tra l’animale e i pastori. Tale è il fascino che subisce dall’astuzia e dalla forza del lupo che decide di adottarne un cucciolo pescato con coraggio in una delle anguste tane situate sotto le rocce. L’ultimo lupo è una storia di amicizia e di azzardo simile a quella tra il Piccolo principe di Saint-Exupéry e la volpe. Nella volontà di addomesticare l’animale Chen Zhen educa se stesso; la comunione tra il simbolo eroico della vita selvaggia e il giovane è commovente. A dare profondità alla tenerezza del loro legame sono le stupende inquadrature in 3D; «è quando la telecamera si avvicina al viso» afferma lo stesso Annaud «quando cattura l’emozione degli attori che la stereoscopia dà qualcosa in più».
Merita un elogio a parte l’invisibile protagonista della pellicola Andrew Simpson da più di vent’anni addestratore di animali per il cinema. La collaborazione con il regista francese era stata sempre un suo sogno; come racconta lui stesso dal loro primo incontro aveva compreso quello che voleva Jean-Jacques :«Non si trattava solo di far capire allo spettatore la durezza della vita dei lupi nelle steppe, ma che dovevamo riuscire a entrare nella loro testa, dovevamo sentire le loro emozioni e percepire la loro intelligenza… Per la prima volta un film di finzione si proponeva di mettere in scena questi animali così come sono veramente in natura».
Nello splendore della steppa, scrigno del lupo della Mongolia, Annaud ci restituisce l’unicità di questo predatore considerato fin dai primordi come un traghettatore che supera il mondo e conduce le anime nell’aldilà; un simbolo del ciclo della vita. Ne immortala lo scintillio degli occhi che vincendo l’oscurità della notte rivelano l’acutezza del suo sguardo.